giovedì 11 novembre 2010

Se mangio ferro ci sarà un motivo: parte 5!

Confine italo-svizzero 1968. Fonte: http://www.fotoclublegru.it/

"[...]Se potessi andare a Chiasso a strappare la ramina con le mie mani e strappare tutte le ramine del mondo...[...]", da "Il fondo del sacco", Plinio Martini, 1970.



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Guardingo Agapito si ferma ad osservare, badando bene di non fare rumore. La gioia per essere arrivato finalmente in Predisei si dissolve veloce come la schiuma della birra e lascia posto alla collera. Osserva la scena e non crede ai suoi occhi. Tre ragazzi e una ragazza se ne stanno seduti allegramente a chiacchierare sotto un faggio. Vi è pure un cane, nero con il collo bianco. Da parte ai giovani troneggiano due grossi cestini colmi di porcini. Ad occhio e croce almeno quattro chili. Agapito non ci vede più dalla rabbia, accecato come da un’esplosione. Il suo posto usurpato, i suoi porcini già colti, puliti e incestinati. Chi è il responsabile di un tale sacrilegio?
“I’è sicurament di taiàn, sent cuma i parla sti chi…il celluare??!! Che cazzo è?!Màiramina! Ladri, Ladri, Ladri!...”
Lo aveva capito dai tempi dell’episodio con il portoghese. Era stato confermato in un recente dibattito in tv. In ogni caso, la statistica parlava chiaro:
“I soliti stranieri. Sono dappertutto. Ci rubano il lavoro, i soldi dell’assistenza. I parcheggi. E mo’: anca i fùncc. Cazzo! E num a pagùm”, mugugna turbato.
Agapito si chiede come avranno fatto a salire così veloci. Sono appena le nove e sono già carichi.
“Maiaramina”, inveisce silenziosamente.


Lo ha letto su un cartellone l’altro giorno a Caslano mentre andava a fare la spesa a Ponte Tresa, dove la carne costa meno: “Sono loro i ratti che aggrediscono il nostro formaggio. L’è pien da gent che n’aprofita. Ladri!”
Prova odio. Un odio che sente salire come il caffé nella moka. Vorrebbe dar loro una lezione. Brutti sorci: “Pantegane, ratti randagi. E mi paghi..”

Quello che non sa Agapito è che è proprio lui il topo. Un topo non molto scaltro, per altro. Ratto in trappola, cavia di politicanti nostrani, felini maldestri che ignorano la storia e sono privi di memoria. Politici di bassalega - e non è un gioco di parole. A loro serve un bersaglio, un catalizzatore di voti. Sono abili psicologi, maestri dell’ironia, pubblicisti della politica, vignettisti d’assalto: “Pecore, corvi, ratti di qualsiasi cosa parlerai, con l’animale sul cartellone non sbagli mai”!
Si va sul sicuro: il sorcio nostrano ci casca che è un piacere. Il forestiero, il frontaliero, è il nemico. Molti lo pensano. D’altronde la vedono ogni giorno la colonna di questi strani personaggi che si alzano presto il mattino e tornano tardi la sera. Tutto per un pezzo di Gruyère.
Dimenticano il passato, strappano le radici dalle quali dicono di voler attingere. Tagliano i rami dei propri alberi genealogici come fossero robinie infestanti. Si scordano degli arrotini, dei fornaciai, degli spazzacamini. Hanno gambe e memoria corte. Siamo in Ticino, paesi di bifolchi e terra di confine. Ci troviamo al sud della Svizzera. O meglio, siamo il sud della Svizzera. Il sud, da un punto di vista semantico, implica una connotazione negativa e d’inferiorità. Una volta erano l’est e l’ovest a farla da padrone, ma ora, complice la storia, si divide il globo sull’asse verticale dei punti cardinali. Generalizzando, il Sud è quella parte del mondo sfruttata per arricchire il Nord. Il bello, si fa per dire, è che il sud ha il suo sud, ogni meridione ha il suo mezzogiorno. In effetti nord e sud sono un concetto relativo, sono una destra e una sinistra: dipende da che parte li guardi. A sud del canton Ticino c’è il Nord Italia, i cui abitanti si sentono dei veri settentrionali rispetto ai connazionali pugliesi, calabresi o siciliani. Non immaginano che in Canton Ticino sono loro ad essere considerati meridionali.

“Maiaramina. Maiaramina. Maiaramina”, impreca ancora Agapito, nipote di Dino ul bergum, brandendo il suo bastone di nocciolo come un’ascia di guerra.

Il sud è un capro espiatorio contro il quale sfogare il malessere, proprio e della società. Prendendo esempio dal Nord, capita che il Sud se la prenda…con il suo Sud. Così, in Ticino inveiamo contro gli italiani del Nord (e del Sud), in Nord Italia si scagliano con gli italiani del Sud. Questi ultimi se la prendono con i migranti che arrivano via mare da un sud chiamato Nord Africa. E così via, non sempre seguendo la logica dei punti cardinali. E Agapito, uno come tanti, erge la sua vela e naviga nel vento del momento. Vento di crisi, sghignazza Eolo.

( Il Sud e il Nord: un concetto relativo. Fonte:http://laubao.wordpress.com/page/2/ )



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Spesso la differenza tra un Sud ed un Nord (o tra il Nord ed il Sud) è un confine, luogo fittizio disegnato dalla storia con l’aiuto a volte della geografia. A separare il Ticino dall’Italia è spesso una barriera naturale: la cresta di una montagna, un lago o un fiume. Sono luoghi, quest’ultimi, abitati da esseri viventi indisciplinati. Un faggio, un capriolo, un pesce o un fungo sono immuni alla costruzione umana di confine. Per loro sud o nord è solo una questione di insolazione. Un fungo non è italiano o svizzero, ticinese o grigionese. Un fungo è un dono superpartes, spuntato dalla terra laddove le condizioni sono per lui le più ottimali. Un fungo è un essere apolitico.



Malgrado ciò c’è chi, come Agapito, ha una visione più possessiva del fungo e cerca di stabilirne una proprietà a seconda del passaporto o della targa della macchina. In un periodo caratterizzato dall’odio verso il frontaliero, l’andare per funghi nei boschi del Malcantone, lungo confine italo-svizzero, può minacciare gli umori e creare tensioni. Manco fossimo nel 1940 quando il confine andava difeso da una possibile invasione fascista. Altri tempi, Agapito non era ancora nato e la Svizzera era nella morsa delle potenze dell’Asse. Bastava un battito di ali… Ma questa è un’altra storia.

“Màiaramina!”, impreca, fumoso più di una pipa ad acqua. Agapito non va oltre questo discorso, assai limitato. Una litania banale come un discorso del primo d’agosto. Una scorreggia repressa che quando è lasciata andare è liberazione egoistica: benessere per chi la fa; rumore e puzzo per gli altri.
Nel 1943 si rompeva il metallo del reticolato di confine per salvarsi dagli strascichi della guerra. La ramina la si mangiava letteralmente: i denti digrignavano ferro come fossero ruggine. Essere oltre la rete era questione di vita o di morte. E poi ancora buchi nella ramina alla ricerca di un lavoro nel dopoguerra, quando necessitavamo di manodopera, quando “volevamo braccia e sono arrivati uomini”. Ma anche questa è un’altra storia…

“Màiaramina, màiaramina!Maiaram…” Un formicolio lo prende al braccio sinistro. Oppressione, costrizione in zona retro sternale. Dolore acutissimo. Rumori onomatopeutici si espandono nel bosco. Rosso, blu, nero. Agapito crolla al suolo.


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