venerdì 18 novembre 2011

Motel California: diapositive musicali dal lontano west!

Un ultimo caffè e sono pronto per l’automatica. Benvenuti a bordo figli dell’ovest: si parte.

Uscito indenne dal centro città, domato il Bay Bridge, l’onda del traffico di un sabato californiano travolge la senza marce giapponese e il suo inesperto pilota, surfista principiante.

I’m so tired of crying, but I’m out on the road again..”

La baia è la bocca di una balena dalla quale sfuggire. Oakland, Stockton, Modesto, l’asfalto scorre sotto di noi come un tapis roulant: “Corri bella, scappa via. Fuori da questo cetaceo agonizzante!”

Silenzio!Infine solo la strada lunga e diritta. Strada e paesaggio, paesaggio e strada. Tutto è silenzioso senza lo scalar di marcia. Il piede sinistro allontanato dal pedale controvoglia. La mano destra che si gratta annoiata e distratta. La radio che gratta anche lei e forse non ha capito: cerca bella, cerca cerca cerca! Trova un vecchio blues da integrare al paesaggio ai ranch e ai tori che brucano erba brulla, gialla, catarrosa e desertica.

Magia!La voce inconfondibile è quella di John Fogerty, quello dei Creedence: “I left a good job in the city..” Non grattare bella, mantieni!Resta lì immobile, gaudia radio da tre soldi ma quanto sei brava? “..Big wheel keep on torning’?..Rolin’ Rolin’..”

Natura morta ai bordi della carreggiata: orsetti lavatori, cervi, daini, scoiattoli e gerbilli. Qualche cane, forse un coyote. Intanto corre la strada e la sua fauna ruggente: camion, camioncini, pick up, civette della pula, furgoni rialzati, ammortizzati, rumoropotenziati. I camper sono camion-case che trasportano jeep che fanno le veci di scooter. Le utilitarie? I SUV con cui si può andare anche in spiaggia, entrare in acqua, scaricare la barca e nel frattempo guidare fino al bagno duecento metri più sopra, verso la duna.

Il parco nazionale costa 25 dollari e li vale tutti. La natura è incontaminata: sequoie immense, boschi, foreste, laghi, cascate, spazi infiniti. Posteggi. Due foto e via. Chilometri di persone, digitali e cavalletti. Via via, andiamo via di qua.

Valichiamo il Tioga pass culmine stradale della Sierra Nevada. Neve neve, poi si scende dove improvvisamente il deserto ci riaccoglie. Il tramonto con vista dal benzinaio è impagabile: un lago salato, formazioni rocciose, tufi, il sole che appena se ne va lascia spazio ad un freddo nuovo. Il paesino che ci accoglie la notte sfrutta il turismo di passaggio: dieci motel, quattro distributori di benzina, due ristoranti e qualche casetta. Una strada a quattro corsie taglia a metà il ridente villaggio di Lee Vinning, 259 abitanti. Una lingua di asfalto che è piaga ma allo stesso tempo arteria, aorta, unica ragion d’essere dell’agglomerato, fonte di sangue vitale. Si tessono relazioni primarie a Lee Vinning: corpi stanchi incontrano materassi, stomaci famelici trovano burger, motori assetati dissanguano benzina, rifiuti umani liquidi e solidi trovano scarichi puliti.

Il giorno dopo si riparte presto, una tazza di caffè e via. La strada appare infinita nel retrovisore. La mano destra sempre più annoiata si intrufola nel naso fino a divellerlo. La radio abbandona la magia del giorno precedente e un triste pop finto rap mieloso non smette di infastidirci.

Fra 78 miglia, svolta a destra”, lo dice Tommy, il navigatore satellitare. In strada si, ma equipaggiati.

Pausa caffè, ma non immaginatevi espresso e Camogli:

“Americano, caffelatte, cappuccino?”

“Doppio shot, grazie … Come scusa? No, non sono pazzo, voglio solo un doppio shot. Senza latte, neanche schiuma..ne vaniglia o aromi vari. Secco. Un po’ di zucchero se mai.”

“Fantastico, grande, eccellente. Perfetto.” Tutto è super e tutti sono gentili e cordiali.

Non si deve essere dei geni per capirlo: la cittadina di South Lake Tahoe sorge a sud del lago Tahoe. Secondo il cartello 22 mila abitanti e un concetto che non cambia. Una strada a quattro corsie, quattrocento motel, catene di fast food, le auto accese fuori dai centri commerciali. Si vive per l’adesso, il poi è un pensiero che non riguarda.

I never thought about the universe, it made me feel small, never though about the problems of this planet at all ..

Ad est della città siamo già nel Nevada. L’architettura aiuta a capire il cambiamento di stato. Altissimi dal nulla, una mezza dozzina di casinò sventrano il terreno come parassitici mostri. Lo stile del luogo é rappresentato dalla salsa bianca che sgorga dalla bocca di Jack, il nostro vicino al bar. Jack se la spalma con le mani sul volto, arrotola un tovagliolo di carta, lo butta sul bancone assieme al dollaro di mancia e se ne va. Benvenuti a South Lake Tahoe, città del rutto facile.

Al ristorante indicano le calorie dei vari piatti. La famiglia di fianco sembra non aver fruito delle utili informazioni dietetiche. La loro volontà di lasciare il locale si urta con la difficoltà meccanica dell’alzarsi da quelle sedie restringenti. Superata l’ardua impresa tutti e quattro i membri dell’allegra famigliola squadrano i miei spiedini di gamberetti con riso all’ananas come a dire cazzo mangia sto sfigato.

Strada, sputo di catrame perfezione d’America portaci fino a Chester, California del nord sul lago Alamanor. Fredda e nuda, esonerata dalla nozione di bellezza, ma bella per questo, per il brutto che emana. Feticista dell’orribile: sono attratto dal mostruoso. Il fascino noir di una pompa di benzina male illuminata non ha eguali. I bassifondi di Tom Waits, i vicoli di Steinbeck, smisurate scene di film: luoghi familiari già attraversati con la mente. L’America vera e profonda è meglio vederla che immaginarla, è meglio odorarla anche se poi emana fritto. Il brutto esala una strana sensazione di fascino autentico, di già letto, di già visto. Luogo abbandonato dagli dei, desolante e povero.

Povero cazzo, bisogna dirlo chiaro e tondo: l’America a tratti ci appare povera e desolante senza possibilità di svago se non quello di rialzare la macchina con molle viola e ingozzarsi di cibo spazzatura davanti ad una stupida partita di football. Magari un tiro a bowling la sera.

A Chester il bowling è chiuso. Che si fa?

Via via,andiamo via di qua.

Colazione, un altro caffé e poi via. Radio River, classic Rock 99.7 FM: “Well, I’m running down the road, tryin’ to loosen my load..” La giornata comincia bene con i vecchi Eagles. “Don’t let the sound of your own wheels drive you crazy…Standing on a corner in Winslow, Arizona..” Winslow Arizona arriveremo anche laggiù! “Take it easy…

Per ora ci accontentiamo del magnifico Lassen Volcanic Parc. La terra che erutta zolfo tanto per farci capire quanto è forte ed energica, che basterebbe un suo ruttino e arrivederci amore ciao. Poi ci si ributta in giù, Red Bluff, Los Molinos, la Sacramento Valley lunga e diritta come una strada. Arida ma coltivata intensivamente, l’agricoltura californiana è un tritatutto di monotonia di monoalberi di pistacchi irrigati alla periferia del deserto.

Notte di passaggio notte a Chico, città universitaria e motel con puzza di insaccati. L’urlo di un gufo nella notte cozza con le urla di chi civetta nella camera accanto. Downtown giovane e dinamico, brutto ma bello, con un suo perché, una sua autenticità. Buoni burger, birra buona e gente cordiale. Mi sento integrato ma la meta è il mare di domani.

Lucerne, Ukiah, Boonville, infinita attesa.

Il mare e le sue onde e i suoi rigetti algosi.

La fine.

Un pugno in faccia dal Pacifico, la corsa all’ovest termina quì. Anche l’America deve pur finire.

E poi e poi…

Calma. Tramonto sul molo spoglio di turisti. Vecchi hippie, pescatori e surfisti, qualche foca: la guida ci ha azzeccato in pieno. Una Bud senza sacchetto per festeggiare. Al paese un cinema funzionante, un negozio bio, un motel scassato e un ottimo ristorante. Le auto sono vecchie e decorate, la gente è meno grassa e spensierata. Quasi sana, più burbera e sospettosa a prima vista. Più simile a noi. Una lapide ricorda i migranti giapponesi arrivati su una zattera di legno ad inizio secolo.

I crossed the ocean for a heart of gold..”

La corsa all’est. L’est dell’ovest chiamato estremo oriente. Il nostro lontano west che più ovest non si può perché diventa est. Un alba che è un tramonto. Punto zero.

Fine della corsa ragazzi, più in là non si va. Noi restiamo qui: Point Arena, Manchester contea di Mendocino. California, Stati Uniti d’America, ottobre 2011.