domenica 31 luglio 2011

Allocuzione del primo d'agosto!

...scomodati gli altissimi...

Il primo agosto è la festa nazionale svizzera. Festa ufficiale, giornata di vacanza come ha scelto il popolo nel 1993 accettando l’iniziativa lanciata dai democratici svizzeri. Solo lo spirito patriottico poteva smuovere negli svizzeri un desiderio di vacanza. Nel 1985 lo stesso popolo svizzero, all’eccezione di quei fannulloni ticinesi e giurassiani, bocciò l’iniziativa popolare che intendeva estendere la durata delle vacanze pagate. Chissà a quale cantoni si riferiva Woody Allen quando affermò: «Credo nell' intelligenza dell' universo ad eccezione di qualche cantone svizzero»?

Fino al 1848, anno della fondazione della Svizzera “moderna”, del primo d’agosto a nessuno gliene importava. Creato lo Stato, ecco sorgere la necessità di una festa nazionale. La mitologia della ragion di Stato, un misto di episodi storici, di saghe e leggende tardo medioevali. I miti fondatori della Confederazione furono trasmessi in forma scritta solo secoli dopo il presunto avvenire dei fatti, con il chiaro obiettivo di rafforzare il sentimento di appartenenza alla comunità.

Primo d’agosto, giornata di festa ma anche di tradizione: falò, inno nazionale, bandiera alle case, cervelat, fuochi d’artificio, discorso del presidente, naziskin sul praticello.Tradizionale anche l’appuntamento nella buca delle lettere con il manifesto dell’UDC. Inviato a tutti i fuochi del paese, le quattro paginette hanno proprio nel fuoco l’unica ragion d’essere: che bel falò ci accenderò.

Primo d’agosto, giornata di stereotipi. Leggo negli archivi del Corriere della sera, a proposito dei preconcetti sull’Elvezia: “la Svizzera è democrazia e terra d’accoglienza, senso civico, rispetto delle leggi, lavoro sicuro, ordine, tranquillità, precisione, pulizia, ecologia, natura […]”.

Esiliato in Svizzera nel 1815 lo scrittore italiano Ugo Foscolo così si esprimeva: “gli ottimi Svizzeri guardano il forestiero come cacciagione”. Quasi duecento anni dopo, nella buca delle lettere, ecco la conferma: l’attività venatoria preferita del primo partito svizzero è la caccia allo straniero. L’UDC avrebbe potuto utilizzare il primo d’agosto per elogiare il nostro paese, per esaltarne le virtù, anche quelle stereotipate. Giammai! Le elezioni si avvicinano, c’è un nemico da combattere: il migrante, che non solo ruba il lavoro, abusa delle assicurazione sociali, spaccia ma addirittura consuma energia, occupa i posti sui treni, ruba il posto in nazionale, mangia.

La tematica nazionale, la svizzeritudine, è all’appannaggio dei democentristi: “Gli svizzeri votano UDC” (“i ticinesi votano lega”, copiano in Ticino). Festeggiare il primo d’agosto è di destra, esporre la bandiera anche. Al massimo a noi è concesso esultare di nascosto per un goal di Shakiri o una scivolata di Inler.

“Se Dio fosse svizzero, il mondo non sarebbe stato ancora creato”, scriveva sarcastico lo scrittore Hugo Loetscher in un esilarante libretto sulle attitudini elvetiche. Se Dio fosse svizzero, non voterebbe UDC.

D’altro canto gli altri partiti, socialisti in primis, avrebbero potuto elogiare alcuni degli stereotipi svizzeri citati dal Corriere: terra d’accoglienza, ecologia, lavoro sicuro. Avrebbero per lo meno potuto sfoggiare un tradizionale perbenismo di facciata. Giammai! Si sarebbe potuto mistificare il mito, ricordare che la Svizzera deve la sua forza, non alla chiusura su se stessa, ma all’apertura, all’apporto di lavoratori, di denaro, di invenzioni straniere. Le montagne viste non come un ostacolo, bensì come un invito a guardare dall’altra parte, oltre la siepe. Ma, le elezioni si avvicinano ed ecco comparire gli altri stereotipi citati dal quotidiano milanese “opportunismo, freddezza, cinismo, tristezza, conformismo, chiusura, grettezza”.

Ho come il dubbio che se Dio fosse svizzero, non voterebbe neanche gli altri partiti. Se Dio fosse svizzero (ma anche italiano, francese, russo, giapponese o tartaro), semplicemente non voterebbe.

Partiti e governanti sono però fortunati: Dio non esiste, e se fosse esistito sarebbe già morto.



venerdì 29 luglio 2011

Conti che non tornano!

Dessin original de WAZEM


Notizia di ieri:

I membri delle direzioni e dei consigli di amministrazione delle maggiori società svizzere hanno guadagnato mediamente il 10% in più nel 2010 rispetto all’anno precedente” (la Regione 28 luglio 2011).

Il più pagato dei manager é Brady Dougan di Credit Suisse: 12.8 millioni di franchi. Il Credit Suisse è anche la società elvetica che remunera meglio la propria dirigenza: 160 milioni di franchi (11 milioni in più rispetto al 2009 e 70 milioni in più rispetto a UBS).

Notizia di oggi:

Crolla l’utile trimestrale di Credit Suisse. La seconda banca svizzera prevede la soppressione di duemila posti di lavoro” (la Regione 29 luglio 2011).

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La Svizzera e la FAO!



L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (
FAO), la più grande agenzia ONU in termini di budget (più di un miliardo di dollari) e d’effettivi (3600 impiegati), è spessa molto criticata, soprattutto per la sua incapacità di risolvere la piaga della fame.
Nell’attuale contesto, la gestione delle problematiche alimentari e agricole non é certo facile. Nel suo campo d’azione, la FAO deve tenere in conto degli enormi aspetti sociali, ambientali, economici e geopolitici dell’agricoltura.

Le relazioni tra la Svizzera e la FAO hanno conosciuto degli alti e bassi. Come altri Stati, durante il Summit mondiale sulla sicurezza alimentare svoltosi a Roma nel 2009, la Svizzera aveva criticato l’operato della FAO, minacciando persino di trasferire verso la Banca mondiale una parte delle contribuzioni finanziarie versate all’organizzazione (7 milioni all’anno).

La principale critica concerne la mancanza di efficienza di un’organizzazione che, secondo la Svizzera, necessita di una riforma importante nel suo sistema di governance. L’incontro avvenuto nel novembre 2009 tra Doris Leuthard e il direttore generale dell’organizzazione, il senegalese Jacques Diouf, era stato definito come “duro” da Hans Joerg Lehmann, rappresentante svizzero alla FAO.

Da allora, le relazioni tra Svizzera e FAO sembrano essere migliorate. A fine giugno, la Conferenza della FAO ha eletto il suo nuovo direttore generale, il brasiliano José Graziano da Silva. Esprimendo la speranza di continuare con le riforme dell’istituzione, la Svizzera si è felicitata per questa nominazione. In effetti, la Confederazione considera cruciale continuare con le riforme della governance mondiale in materia d’agricoltura e sicurezza alimentare.

Un’agricoltura sostenibile

La Confederazione considera prioritario il rinforzamento delle norme di sostenibilità e la messa in opera “di misure a livello globale destinate a sostenere un’agricoltura sostenibile fondata su una gestione efficiente delle risorse”. Il nostro paese collabora a questa politica attraverso dei programmi come quello lanciato nel 2008 dalla Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC). Il Programma globale Sicurezza alimentare (PGSA), una sezione della DSC, rappresenta la Svizzera presso le istituzioni e i programmi multilaterali nell’ambito dell’agricoltura e della ricerca agraria, con l’obiettivo di assicurare la sicurezza alimentare sul lungo termine. Il PGSA collabora con il settore privato, le istituzioni di ricerca e gli attori della società civile. L’obiettivo è lo sviluppo continuo di un’agricoltura multifunzionale e sostenibile basata sull’impresa familiare.

Iniziative multilaterali

In materia agricola, la Svizzera è molto attiva a livello multilaterale. La Confederazione figura tra i 30 Stati che, il 24 giugno scorso, hanno firmato la carta dell’Alleanza mondiale della ricerca sui gas ad effetto serra in agricoltura, creata nel 2009 a margine della Conferenza sul clima di Copenaghen. Si può anche menzionare l’iniziativa lanciata dalla FAO e sostenuta finanziariamente dalla Svizzera, destinata a mobilizzare il settore dell’alimentazione e dell’agricoltura in favore dell’economia verde (GEA) in previsione della Conferenza dell’ONU sullo sviluppo sostenibile che avrà luogo l’anno prossimo a Rio de Janeiro (RIO + 20). L’iniziativa intende diminuire l’impatto ecologico della produzione agricola e alimentare, responsabile del 14% delle emissioni di gas a effetto serra. Si intende inoltre valutare gli scenari alternativi di sviluppo e le opzioni politiche per rispondere alle sfide della sicurezza alimentare e dello sviluppo sostenibile.

Un quadro normativo non vincolante

Questo genere di iniziative è certo interessante. Ma, concepite in un quadro normativo internazionale non vincolante, esse non garantiscono dei risultati all’altezza delle intenzioni proclamate. È in questo genere di norme non obbligatorie che si iscrivono per esempio la Convenzione sulla biodiversità biologica e il Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche. Al contrario, il quadro normativo dell’OMC prevede delle sanzioni economiche contro quegli Stati che non ne rispettano le norme. Ma l’OMC non si preoccupa del diritto all’alimentazione, diritto che la Svizzera invoca quando si parla di sicurezza alimentare. Ecco perché la nuova direzione della FAO dovrebbe fare in modo che l’organizzazione giochi un ruolo più decisivo nelle decisioni di politica economica e commerciale che hanno un impatto sul sistema alimentare mondiale. La Svizzera potrebbe impegnarsi in modo che il quadro dell’ONU diventi il cuore della governance mondiale, come già preconizzato da Doris Leuthard nell’ultima Assemblea generale.

Il potere dell’industria agroalimentare

La governance della sicurezza alimentare si scontra anche col potere di un’industria agroalimentare, sempre più concentrata e che controlla la produzione, il commercio e la distribuzione dei prodotti agricoli. Come evidenziato da un eccellente documento pubblicato dalla Dichiarazione di Berna, due società svizzere, Syngenta e Nestlé, sono tra gli attori più importanti dell’oligopolio mondiale dell’agroalimentare.

Da una parte quindi la volontà della Svizzera di sviluppare un’agricoltura sostenibile basata sulle imprese famigliari, dall’altra un sistema agroalimentare mondiale controllato da un ristretto numero di attori economici. Come sottolinea il commissario delle Nazioni Unite per il diritto all’alimentazione, il "disequilibrio di potere" tra le grandi multinazionali e i contadini fa in modo che questi ultimi si trovino in posizione di debolezza quando devono negoziare i prezzi di vendita dei raccolti o d’acquisto dei prodotti.

Delle misure che contengano la concentrazione eccessiva nel settore alimentare e l’abuso di certi attori che beneficiano di una posizione dominante, oltre che la limitazione dell’influenza politica delle multinazionali agroalimentari costituiscono quindi una dimensione essenziale della governance mondiale della sicurezza alimentare.

venerdì 8 luglio 2011

"Le Matin Dimanche", Addax e Pain pour le prochain!

Accaparramento di terre: una battaglia mediatica è in corso tra investitori e ONG






Fabbricare il consenso verso i biocarburanti in un momento in cui essi sono messi in questione per il loro ruolo nell’aumento dei prezzi delle derrate alimentari. Diffondere il pensiero unico di un’impresa la cui immagine è disturbata da recenti rapporti pubblicati dalle ONG e discreditare queste stesse organizzazioni. Come definire altrimenti l’articolo apparso il 19 giugno scorso su le Matin Dimanche?


Soggetto centrale dell’articolo di Elisabeth Eckert, la società ginevrina Addax Bioenergy e il suo progetto di produzione di canna da zucchero in Sierra leone (vedi LoDe). Dalle prime righe si percepisce subito che l’articolo è più simile alla propaganda in favore dell’impresa che a un reportage indipendente e di un’analisi obiettiva del fenomeno dell’accaparramento delle terre e della produzione di biocarburanti.





Ultimamente Addax e i biocarburanti sono al centro dell’attenzione mediatica. Il New York Times ha appena consacrato un articolo a Jean Claude Gandur, questo commerciante svizzero proprietario della società che, dopo essere diventato miliardario grazie al petrolio, scommette ora sui biocarburanti. La produzione di etanolo è molto controversa. Numerosi attori attivi nella lotta contro la fame ritengono che questa produzione è responsabile della drammatica impennata dei prezzi dei prodotti alimentari. Gli argomenti per sollevare qualche dubbio sul progetto di Addax non mancano di certo. La Sierra Leone è un paese che non è autosufficiente dal punto di vista alimentare. Il fatto di produrre 90 000 metri cubi di agrocarburanti per il mercato europeo è per lo meno discutibile. Il commissario speciale dell’ONU per il diritto all’alimentazione ha appena ricordato che l’interconnessione sempre più marcata dei mercati dell’energia e dei mercati agricoli è evidente e pericolosa.



L’articolo del domenicale romando non considera le critiche, malgrado la recente pubblicazione di due studi che mostrano l’impatto negativo sulle popolazioni locali del progetto. Il primo studio, realizzato dall’ONG canadese Oakland Institute, sottolinea i rischi causati dai fondi speculativi e dall’acquisto di terre nei paesi in via di sviluppo. Questo rapporto consacra tre pagine al caso di Addax mettendo l’accento sulla dicotomia tra il discorso dell’impresa e la realtà sul terreno. Un altro rapporto pubblicato il 15 giugno, sostenuto dalla rete sierraleonese per il diritto all’alimentazione (SiLNoRF) e sostenuto anche dalla fondazione svizzera Pain pour le prochain (PPP) giunge alla stessa conclusione: malgrado le promesse (orali) di Addax, le comunità locali sono sempre più confrontate con l’insicurezza alimentare e i soli a beneficiare del progetto sono alcuni membri delle élite locali.



Addax contesta i risultati di quest’ultimo rapporto, giudicato polemico e tendenzioso “scritto con l’obiettivo di creare una risonanza mediatica massimale con lo scopo d’imporre queste ONG come interlocutori indispensabili nel processo di negoziazione già messo in opera da Addax Bioenergy e le popolazioni locali”. È naturalmente il diritto di Addax quello di esprimere il suo punto di vista per bilanciare gli attacchi di cui la società si sente vittima. Addax ha trovato nel Matin Dimanche un buon alleato che, non soltanto ne elogia l’operato e gli sforzi in materia di sviluppo sostenibile, ma attacca ugualmente gli oppositori svizzeri, considerati illegittimi. Il bersaglio principale è PPP e Yvan Maillard Ardenti, responsabile “mercati internazionali, debiti e corruzione” per la fondazione, accusato di aver pilotato lo studio. L’autrice dell’articolo non fa prova di nessuno spirito critico. La critica si rivolge esclusivamente verso gli oppositori , accusati di “conservare i contadini africani nella dipendenza e nella miseria piuttosto che di favorire un sviluppo economico sostenibile”.




Inelegante, l’articolo arriva persino a citare un e-mail privato scritto da Maillard Ardenti a Nikolaï Germann, il direttore del progetto. Possiamo facilmente immaginare la fonte di questo misterioso documento “di cui il Matin Dimanche ha preso conoscenza” e che non aggiunge niente al dibattito. Si tratta di un vero è proprio flak, fuoco contraereo, termine utilizzato dagli specialisti per definire lo sforzo mirato per discreditare le organizzazione e gli individui che sono in disaccordo o manifestano dubbi verso le asserzioni dominanti.



PPP ha inviato una lettera di risposta, relegata in penultima pagina del domenicale del 26 giugno. Una risposta forzatamente sommaria il cui impatto mediatico non può essere comparato all’articolo in questione. La fondazione ha redatto un documento di quattro pagine che rivela e ricontestualizza dodici affermazioni inesatte presenti nell’articolo. Un recente reportage della televisione della Svizzera tedesca in Sierra Leone mostra ugualmente che il progetto di Addax non è cosi performante come il Matin Dimanche e Addax pretendono.


Chiunque è libero di avere la propria opinione sul soggetto. Addax ha sicuramente fatto degli sforzi in termini di comunicazione e nel considerare alcuni aspetti sociali. Ma un giornale che si vuole d’informazione non può limitarsi a presentare dei fatti sulla base delle informazioni fornite da un’impresa e dalla sua agenzia di comunicazione.