mercoledì 29 giugno 2011

Le cleantech e la Svizzera!

A chi il compito di sostenere le tecnologie pulite?


Occhio al greenwashing!


Come fare del nostro paese un leader mondiale della green economy? È attorno a questa questione che si è dibattuto durante il G21 Swistainability Forum, un incontro tenutosi a Losanna il 14 e 15 giugno. Con un interrogativo di fondo: é compito dell’economia quello di risolvere le problematiche ambientali, come preconizzato per esempio da Economiesuisse, oppure lo Stato deve orientare i settori economici verso un modello di produzione più ecologico, sostenendo per esempio le tecnologie pulite, le cleantech?


La problematica energetica e lo sviluppo delle tecnologie (dette) verdi costituiscono un punto cruciale per il futuro, tanto da un punto di vista ecologico che economico. Ecco perché il Consiglio federale ha messo in consultazione nell’autunno 2010 un piano direttore (Masterplan Cleantech). Elaborato congiuntamente dai dipartimenti federali dell’economia (DFE) e dell’energia (DATEC), questo piano intende stimolare la capacità d’innovazione delle imprese attive nel settore delle cleantech. Il governo avrebbe dovuto approvare il Masterplan Cleantech nel corso del mese di giugno. A seguito di numerosi interventi parlamentari e di fronte allo scetticismo palesato da alcuni attori, tra cui Economiesuisse, la decisione è però riportata al prossimo autunno.


La Svizzera non raggiungerà l’obiettivo di ridurre da qui al 2012 le sue emissioni di CO2 dell’8% rispetto ai livelli del 1990, come si era impegnata firmando l’accordo di Kyoto. La promozione delle tecnologie verdi potrebbe quindi contribuire a diminuire l’impatto ecologico del nostro paese, aumentandone inoltre il livello di autonomia energetica.


L’obiettivo principale del piano è comunque economico: bisogna rinforzare le capacità d’innovazione della Svizzera e posizionare il nostro paese tra i leader mondiali delle tecnologie verdi. Le cleantech sono un settore importante per l’economia svizzera: impiega 160000 persone e contribuisce a circa il 3.5% del PIL. La Svizzera fu pioniera nello sviluppo delle cleantech. Negli ultimi anni sembra tuttavia aver perso il suo vantaggio facendosi sorpassare dalla concorrenza internazionale: “la parte di commercio mondiale attribuibile alla Svizzera nel settore delle cleantech è in ribasso”. Il Consiglio federale vuole quindi far ritornare la Svizzera nel gruppo di testa facendo delle cleantech un simbolo della qualità elvetica.


Sul piano politico questo progetto non fa però l’unanimità. Tra i più scettici ritroviamo Economiesuisse, la cui opposizione è per lo più di natura ideologica. Il credo ultraliberale dell’associazione si oppone al fatto che lo Stato possa stabilire un piano per stimolare determinati settori economici. Durante il discorso d’apertura del G21 Swisstainability Forum, il direttore di Economiesuisse l’ha manifestato chiaramente: di fronte ai problemi ambientali, l’economia non è il problema bensì la soluzione. Per essere efficace, questa soluzione deve venire dagli stessi attori economici e non deve essere influenzata e diretta dallo Stato. La voce “piano” contenuta nel titolo del documento governativo non è gradita: “siamo un poco preoccupati per la scelta del termine piano, il quale può essere facilmente interpretato come una politica industriale diretta e pianificata dallo Stato”.


La trasformazione ecologica dell’economia é ineluttabile, bisogna quindi accogliere positivamente ogni sforzo politico inteso a rispettare meglio il carattere limitato delle risorse naturali. Questa presa di posizione deve tuttavia prevedere dei finanziamenti. Da questo punto di vista il piano direttore del governo è lacunoso. Per contribuire a ridurre l’impatto ecologico della Svizzera, è indispensabile sostenere le imprese che operano in questo ambito. Ciò è categoricamente rifiutato da Economiesuisse: “rigettiamo categoricamente una nuova politica industriale che intende incoraggiare 17 settori per mezzo di sovvenzioni”. Una posizione che rivela una frattura tra i settori economici tradizionale (elettricità, nucleare, cemento per esempio) e gli attori emergenti dell’economia (detta) verde, raggruppati in seno a Swiss Cleantech.

mercoledì 22 giugno 2011

De l'origine dell'uranio!

Da dove arriva il combustibile nucleare che permette alle centrali svizzere di funzionare ?



Quando si parla dei rischi inerenti l’energia nucleare il dibattito si focalizza su ciò che avviene durante e dopo la produzione. I pericoli delle centrali e la gestione delle scorie sono in effetti gli argomenti più utilizzati. Tuttavia, bisognerebbe interrogarsi anche su quello che succede prima della produzione, sull’origine della materia prima. L’estrazione dell’uranio è spesso evocata dalla lobby pro nucleare come un fattore positivo: l’elemento è estratto in paesi politicamente stabili e democratici dove i diritti dei lavoratori e dell’ambiente sono rispettati. Il caso dell’uranio russo utilizzato nelle centrali argoviesi di Beznau e Leibstadt mostra però che il problema è anche alla fonte.



Il mese di novembre, in seguito alle critiche indirizzateli da Greenpeace, la società energetica Axpo ha dovuto ammettere che la tracciabilità dichiarata a proposito dell’uranio utilizzato nelle due centrali era falsa.



Nella lettera aperta indirizzata alla direzione di Axpo, al suo consiglio di amministrazione e ai suoi azionari, l’organizzazione ecologista aveva domandato di non più acquistare combustibile nucleare d’origine russa. Quest’ultimo è prodotto in gran parte nella fabbrica di ritrattamento d’uranio di Mayak, negli Urali siberiani a 2000 km da Mosca. Questa località è considerata da Greenpeace “uno dei luoghi più irradiati al mondo”, non solo a causa degli incidenti avvenuti in passato ma anche per il fatto che il riversamento diretto di liquidi radioattivi nel fiume Tetcha è una prassi normale dell’installazione. Una situazione che ha degli effetti abominevoli sulla popolazione locale colpita da un tasso di cancro largamente superiore alla media.



“Ci siamo sbagliati” aveva affermato davanti alla stampa Manfred Thumann, il CEO di Axpo. La lista dei fornitori d’uranio pubblicata dalla società argoviese non era in effetti corretta e il gruppo ha dovuto ammettere di non avere verificato l’origine dell’uranio russo. Per ciò che concerne le centrali di Beznau e Leibstadt Axpo si fornisce in effetti presso la società francese Areva la quale, a sua volta, acquista il combustibile nucleare presso la società russa MSZ Elektrosal. Gran parte di questo combustibile è fabbricato a Mayak.



Durante la conferenza stampa dell’autunno scorso Thumann annunciò ugualmente che degli esperti del gruppi avrebbero effettuato prossimamente un viaggio in Russia, per rendersi conto personalmente dello stato effettivo dell’inquinamento a Mayak.



“Non ho un buon sentimento, scopriremo probabilmente delle cose che non ci piaceranno” ammise Thumann sottolineando che tuttavia solo dopo la visita la società potrà decidere di rinnovare, per altri dieci anni, il contratto con l’impresa fornitrice. Lo scopo della visita, che coinvolge anche vari politici d’oltralpe (membri del CDA della società) è anche quello di discutere con i rappresentanti della fabbrica e della casa madre, l’agenzia russa per l’energia atomica (Rosatom).



Tuttavia, per ora gli esperti di Axpo non si renderanno conto...di un bel niente. Domenica la società argoviese ha annunciato di non avere ottenuto i permessi per visitare l’impianto di Manyak. La ragione invocata da Rosatom è che l’installazione si trova in zona d’interdizione militare. La decisione russa non fa che alimentare i dubbi sull’origine del combustibile nucleare. Malgrado la delusione manifestata dai dirigenti di Axpo, per la società “le conoscenze attuali non permettono di determinare con certezza se le procedure di ritrattamento dell’uranio a Mayak generano dei problemi di radioattività per l’uomo e l’ambiente”.



Nell’attesa di una visita tutto continuerà come prima, senza che una risposta venga data al seguente quesito: senza l'utilizzo di combustibile la cui origine é dubbiosa, le centrali nucleari svizzere potrebbero funzionare?



NB:



Sul sito dell’agenzia russa per l’energia atomica, in data 27 gennaio possiamo leggere il seguente comunicato stampa:



Top executives of the Swiss utility Axpo AG visited Chelyabinsk Region where they had a meeting with regional authorities, Rosatom officials and PA Mayak management. Rosatom reported the meeting had been initiated by the Swiss side.”



Da noi contattata, Axpo afferma che suoi esperti si sono effettivamente recati in Russia a gennaio, ma nella regione di Tscheljabinsk. La fabbrica di Mayak non è stata quindi visitata.

mercoledì 15 giugno 2011

I quartieri sostenibili!

Un approccio allo sviluppo urbano che risponde ai bisogni dell’ambiente e dei cittadini.



La necessità di costruire nuovi appartamenti urbani per una Svizzera a 10 milioni di abitanti, il rispetto del paesaggio e dell’ambiente, l’approvvigionamento energetico in un era post-nucleare, la creazione di un tessuto sociale solido e vivo: ecco alcune delle sfide che attendono il nostro paese nei prossimi anni.

Come è possibile conciliare tutti questi elementi?

Se si esclude l’idea folle e elettoralista di definire un capro espiatorio responsabile di tutti i problemi (lavoro, energia, mobilità, sicurezza), possiamo cogliere l’occasione per tramutare queste sfide in opportunità, in impulso per riflettere allo sviluppo del nostro paese. Sviluppo che, come prescritto dalla Costituzione federale (art. 77), deve essere sostenibile.
Molto mediatizzato, spesso abusato, lo sviluppo sostenibile é a volte percepito come un concetto magico lontano dalla realtà concreta. Può anche essere visto come una moda, un piacevole abito verde da indossare per darsi arie da ecologista. Tuttavia, lo sviluppo sostenibile è sempre più una necessità, un’esigenza che rima con opportunità.

In quest’ottica, il progetto pilota dei quartieri sostenibili proposto dall’Ufficio federale dello sviluppo territoriale (ARE) e dall’Ufficio federale dell’energia (UFE) costituisce un esempio interessante. La densificazione delle aree urbane fa parte della strategia del Consiglio federale e del Progetto territoriale svizzero per lo sviluppo urbano. Le agglomerazioni delle cinque principali città – Zurigo, Basilea, Ginevra, Losanna e Berna – raggruppano un terzo degli abitanti del paese. Non si potrà quindi rispondere alle nuove esigenze costruendo casette monofamiliari in campagna, anche se queste soddisferanno criteri ambientali e energetici sostenibili.
Bisogna agire a livello di città, per esempio attraverso il risanamento di vecchie aree industriali o il rinnovamento e la rivalorizzazione dei quartieri esistenti. Tutto ciò deve essere sostenuto da una pianificazione seria e focalizzata sul lungo termine. Come spiega Marina Luzzi, direttrice dell’ARE, il quartiere rappresenta l’ambiente ideale per l’attuazione dello sviluppo sostenibile:
“in questo microcosmo è possibile concentrare lo sviluppo urbano, evitando la crescita disordinata degli insediamenti, e attuare misure concrete che rispondono alla crescita demografica e al fenomeno migratorio, preservando la qualità di vita, sociale e ambientale”.

Bisogna adottare un approccio innovativo per lo sviluppo sostenibile dei quartieri, il che implica la valutazione “non soltanto degli aspetti architettonici e energetici, ma anche la ricerca di un equilibrio fra aspetti sociali, quali l’integrazione e sicurezza, mobilità, rispetto dell’ambiente e la forma urbana”.

La questione ambientale e dell’approvvigionamento energetico sarà fondamentale. Focalizzandosi su dei materiali e delle fonti di energia rinnovabile, su delle tecnologie performanti e sul rafforzamento della mobilità pubblica, l’impatto ambientale deve essere minimizzato e l’autonomia energetica concretizzata. Il mantenimento di aree verdi deve essere ugualmente un elemento importante. Tuttavia non si deve limitare alla piantagione di anonimi aceri. Delle zone di agricoltura urbana, di svago e sport devono essere integrate in questo genere di progetto.

Non avrebbe però senso creare un quartiere rispettoso dell’ambiente ma sprovvisto di qualsiasi coesione sociale. Uno degli obiettivi principali dei quartieri sostenibili deve essere la qualità di vita degli abitanti. Delle strutture che rispondono ai differenti bisogni devono essere integrate nel quartiere (asili, biblioteche, bar, negozi, luoghi di incontro e convivialità, ecc.). Le nuove zone urbane devono ugualmente essere aperte a tutte le fasce della popolazione. Un quartiere misto, dal punto di vista socio-economico, etnico e generazionale, non può che rappresentare un progresso in un paese dove si è spesso abituati ad una divisione spaziale della struttura sociale. In questo senso il comune di Losanna, promotore del progetto Metamorphose che prevede di creare un nuovo quartiere di 2000 abitanti, prevede di suddividere i nuovi spazi abitativi in appartamenti sussidiati, proprietà per piani, cooperative di abitanti e affitti convenzionali.

Dreispitz a Basilea, Pleines-du-Loup a Losanna e altri progetti a Ginevra, Neuchâtel e Zurigo: questa nuova concezione di concepire la città e lo sviluppo comincia a concretizzarsi. Moda o necessità, non siamo ancora in grado di poter giudicare l’efficienza di questi progetti. I rischi sono quelli di creare dei quartieri nuovi ma asettici e distaccati dal resto della città e dove la diversità sociale è messa a rischio dall’aumento del prezzo degli affitti.

I quartieri sostenibili sono comunque una possibile soluzione per conciliare le sfide evocate all’inizio dell’articolo. A condizione naturalmente di beneficiare di un forte sostegno politico e finanziario.