domenica 11 dicembre 2011

Quando il discreto mondo delle materie prime si apre alle borse.

Il panorama dei super ricchi di Svizzera si allarga agli azionisti di Glencore. A maggio 2011 il gigante mondiale delle materie prime é entrato in borsa. Cronistoria di un’operazione folgorante.
Tradizionale come l’influenza, il settimanale economico Bilanz ha pubblicato ad inizio dicembre l’edizione speciale consacrata ai trecento più ricchi della Svizzera. Trecento persone il cui patrimonio totale, stimato a 481 miliardi di franchi, equivale all’intero prodotto interno lordo del paese nel 2010.


Il numero dei miliardari residenti aumenta: Bilanz ha integrato undici nuovi nomi. Fra di essi tre azionisti di Glencore, multinazionale leader dell’estrazione e del commercio di materie prime. Daniel Maté, Aristotelis Mistakidis e Tor Peterson raggiungono nel club gli ultimi due condottieri della società, Willy Strahotte e il sudafricano Ivan Glasenberg. Quest’ultimo, attuale CEO di Glencore, è ormai l’ottava persona più ricca di Svizzera e tra le prime cento a livello mondiale.


Un’entrata in borsa folgorante


Il 16 maggio 2011, per molti una giornata primaverile come le altre. Non per i dirigenti di Glencore: quel giorno in effetti la società con sede a Baar entra in borsa. Il gruppo è all’apice del suo successo, negli ultimi cinque anni i suoi profitti si sono quintuplicati. L’operazione permette ai quadri dirigenti di Glencore di massimizzare il valore delle loro quote.


“L’entrata in borsa di Glencore è stata una delle più fruttuose della storia delle borse. Una volta sul mercato le azioni hanno moltiplicato il loro valore di 600 volte” spiega Dirk Schütz, caporedattore di Bilanz.


I quadri dirigenti restano i principali proprietari della società. I primi sei manager ne detengono il 38.9%. Per Maté, Mistakidis, Peterson, ciascuno proprietario del 5/6 % delle azioni, l’entrata in borsa è stata come ricevere un assegno di due miliardi di franchi. In una notte Glaseberg, che dispone del 16% del capitale azionario,  ha triplicato il suo patrimonio che ha ormai superato gli 8 miliardi


Le origini di un impero


Glencore deve la sua esistenza al romanzesco trader Marc Rich che, nel 1974, fonda l’omonima Marc Rich & Co. Rich]non è una persona qualunque. Se oggi è un tranquillo pensionato che si gode i suoi milioni a Meggen, sulla riva del lago dei Quattro cantoni, per più di vent’anni egli ha incarnato l’immagine del negoziante di materie prime per eccellenza. Sfacciato e senza peli sullo stomaco, Rich è per certi versi considerato una figura leggendaria. 
 
Accusato di aver fondato la sua ricchezza vendendo petrolio al regime sudafricano e di fare affari con l’Unione Sovietica e l’Iran, acerrimi nemici degli Stati Uniti, negli anni ottanta Rich diventa il fuggitivo fiscale più celebre al mondo. Gli Stati Uniti accusano Rich e i suoi collaboratori di cinquantuno reati, tra i quali spiccano la sottrazione fiscale di circa 48 milioni di dollari e il crimine organizzato. Sulla testa di Rich pendono condanne che, se cumulate, ammonterebbero a 325 anni di prigione e a multe per 220 milioni di dollari. Rich si rifugia a Zugo. In Svizzera l’evasione fiscale non è un reato penale, la Confederazione rifiuta quindi la sua estradizione.


Negli anni novanta l’ingombrante reputazione di Rich non è più vista di buon occhio dai suoi collaboratori, soprannominati i Rich Boys. Nel 1994 Rich si fa mettere definitivamente alla porta. La società che lui stesso aveva creato e che porta il suo nome si libera di lui. Con 600 milioni di dollari gli associati comprano la parte di Rich e cambiano il nome in Glencore (Global Energy Commodities and Ressources).


Una società controversa


La società di Baar è una delle più controverse del mondo. Rispetto all’epoca di Rich, Glencore si è consolidata. Non è più solo una società di trading, nei suoi tre settori d’attività – metalli, energia e prodotti agricoli- Glencore controlla l’intero ciclo che va dall’estrazione alla distribuzione. Il peso politico-economico di Glencore è impressionante. Basta pensare che controlla il 60% del commercio mondiale di zinco, il 50% del rame, il 45% del piombo, il 28% del carbone, il 22% dell’alluminio, il 9% dei cereali e il 5% del petrolio.


La sua cifra d’affari esorbitante è però fortemente connessa con delle pratiche poco trasparenti nei paesi in via di sviluppo. Speculazioni, relazioni con i regimi più corrotti, violazione dei diritti umani e degli standard ambientali, Glencore deve rispondere ad accuse che le piovono addosso dai quattro angoli del pianeta. 


La società è anche sospettata di utilizzare delle astuzie fiscali per evitare di pagare le imposte in alcuni paesi poveri rimpatriando i benefici in Svizzera. Nel canton Zugo, una legge fiscale favorisce la presenza di holding e di società domicilio. Una holding non paga l’imposta cantonale sui benefici; essa si limita a versare un contributo dello 0.114% (cifra calcolata per una holding che dispone di un capitale e di riserve di due milioni). Attraverso un’ampia serie di tecniche d’ottimizzazione fiscale (più o meno legali) Glencore trasferisce i benefici da un paese in via di sviluppo a Zugo.


Un esempio concreto arriva dallo Zambia, povero stato africano ricco di materie prime. La filiale di Glencore zambiana, la Mopani Copper Mine (MCM), è accusata di aver gonfiato i suoi costi d’utilizzo di una miniera, di aver dichiarato una produzione di cobalto sorprendentemente troppo bassa e di aver venduto del rame ad un prezzo più alto rispetto a quello di mercato ad un suo unico cliente: Glencore. In questo modo MCM non paga alcuna imposta sui benefici allo stato zambiano. I benefici sono pertanto trasferiti alla casa madre di Zugo.


Così mentre i paesi poveri come lo Zambia vengono depredati delle loro ricchezze, in Svizzera i boss di Glencore entrano nell’esclusivo club dei trecento più ricchi.


L’entrata in borsa della società ha permesso ai sei manager più importanti di divedersi una torta di 23 miliardi di franchi. Come spiega l’eccellente libro appena pubblicato dalla ONG la Dichiarazione di Berna, se queste sei persone fossero uno stato andrebbero ad occupare il 94esimo posto della classifica mondiale dei prodotti interni lordi. Sei persone che si classificherebbero davanti alla maggioranza dei paesi dai quali traggono la loro ricchezza.


L’entrata in borsa comporta un solo problema, la perdita di libertà. A spiegarlo è proprio Marc Rich che, da buon conoscitore di questo mondo, non nasconde le sue riserve. “È molto più pratico non essere quotati in Borsa: non si è obbligati a fornire alcuna informazione. La discrezione è un fattore di successo importante in questo mestiere. Noi preferiamo agire in silenzio, a porte chiuse” .










mercoledì 7 dicembre 2011

L'opinione dei lettori: che onta!



di Vasco Ryf,

Sono uno studente in scienze ambientali «esiliato» a Ginevra che sovente invita degli « estranei » a soggiornar per diletto nel « Sonnenstube ». Sistematicamente non posso che vergognarmi di come il loro cliché del Ticino è fasullo: l'autenticità l'abbiamo americanizzata, il paesaggio del fondovalle l' abbiamo venduto, banalizzato (vedi siepi di Tuje e tappeti verdi sterili) e cementato spropositatamente ed in maniera caotica. L'unico ambiente che ancora son orgoglioso di presentare sono le valli discoste dove persistono (a stenti) strutture rurali (edifici e zone aperte) prodogi di paesani-tuttofare d'altri tempi mantenuti intatti grazie a pochi ma fondamentali lavoratori del primario ed enti che si adoperano a tal scopo. Quel che più m'arrovella è che, nonostante il problema é ai più ormai rinomato, non si faccia quasi nulla per impedire questa funesta tendenza. A titolo comparativo illustro alcuni encomiabili esempi di qualche cantone più sensibile che noi: in Jura (JU et Jura bernese) si son adoperati per il progetto Vergers+, che consiste nel perennizzare ed aumentare il numero di frutteti d'alto fusto (3000 piantagioni) con tanto di sussidio per un pressatoio per valorizzare i succhi! In Vallese sta investendo miliardi per rinaturalizzare il Rodano ( obiettivi: ridurre il rischio d'inondazioni, (ri)permettere la vita a vari pesci e migliorar l'aspetto estetico-naturale). Da noi?Pesci come lo storione codice, la cheppia, la trota marmorata son scomparsi (deflussi minimi, svarioni improvvisi, rettificazioni, eutrofizzazione.. sotto accusa), molti uccelli delle campagne son in via d'estinzione (civetta, re di quaglie, averle, upupa, ortolano)...Le soluzioni per alleviare i danni ci sono e sono semplici! A livello familiare: privilegiare giardini sobri con piante indigene (soprattutto arbusti e piante da frutta ), a livello comunale fissare un tetto massimo d'abitanti per ogni comune(siamo tutti d'accordo che più siamo e più la qualità di vita s'abbassa) e a livello cantonale promuovere progetti concreti e coraggiosi a favore dell'ambiente, nostra unica risorsa di vita!