venerdì 25 dicembre 2009

Positive vibration!

È Natale e nella mente i pensieri si fanno nitidi e, soprattutto, positivi. A Natale tutto è possibile e così, per essere solare, sereno e speranzoso, mi viene da pensare al declino dell’umanità. Sdrammatizziamo.



Ci hanno fatto sapere che tutto é possibile. Invece non è possibile proprio niente. Il destino dell’uomo è segnato e l’impossibile trionfa. Impossibile salvarsi, la nostra civiltà sta distruggendosi e condurrà alla distruzione anche le altre civiltà e tutti coloro che ciecamente ci seguono verso il buio. E troppo tardi. Impossibile controllare le leggi della natura che, immodificabili ed inumane, parlano chiaro. Così non si può andare avanti. Ma non si può neanche cambiare e tornare indietro. Ma dicono che tutto è comunque possibile.
“Yes we can”, si diceva qualche mese fa, colorando l’umanità di un avvenire migliore rispetto al grigio medioevo culturale dell’ultimo decennio. Invece non possiamo proprio niente. L’uomo, l’ultimo animale comparso su terra, il primo ad usare il cervello cercando di sottomettere le forze della natura, è condannato. La fisica, la chimica e la biologia si sono coalizzate contro l’uomo e contro la sua superbia. Ma l’uomo, testardo e spacciato, se ne frega e pensa ad altre scienze. Siamo una bomba ad orologeria e il conto alla rovescia è già cominciato. Resta solo da scoprire quando esploderà tutto: fra dieci, cinquanta o cento anni..
Per cui, che ci preoccupiamo a fare? Che organizziamo a fare convegni e convegnetti sui problemi del mondo, sulla fame, sull’ambiente o sulle foche canadesi? Sappiamo benissimo che nessuno sarà in grado di dissuadere i vizi dell’umanità. O perlomeno di frenarli imponendo regole, sanzioni, cambiamenti drastici al nostro modo di pensare, agire, governare, produrre e consumare. Siamo niente. Godiamoci gli ultimi sprazzi di gioia della specie uomo sul pianeta blu. Leggiamo un buon libro, fumiamoci una canna, amiamo una donna (o un uomo), ascoltiamo un disco, magari “this is the end” dei Doors. Loro lo avevano previsto. Siamo già morti, e molti di noi ancora non lo sanno! Ma non preoccupiamoci, dopo l’uomo altre specie sopravvivranno: qualche mollusco, un paio di specie unicellulari, spugne, seppie, funghi e forse anche i granchi ce la faranno. A loro l’onere di rappresentare il pianeta Terra nell’Universo.

La redazione e i collaboratori dell'era dell'eresia augurano buon natale a tutti.Che le vibrazioni siano positive. La vita continua, sono tutte fandonie.

domenica 20 dicembre 2009

COP15: una cornice senza quadro.



A Copenaghen non ci sarà la solita foto di gruppo. I 30 000 accreditati al Bella Centre, il centro congressuale della capitale danese, semplicemente non possono essere immortalati in un unico scatto. A Copenaghen non ci sarà niente. L’atteso vertice, il più importante dai tempi di Yalta (qualcuno diceva), è stato l’ennesimo atto farsa della tragicommedia degli incontri internazionali. Ci si aspettava un trattato (come a Kyoto) che imponesse un minimo di vincoli e sanzioni. Invece niente, nessun obbligo e nessuna novità. Uno striminzito accordo di 12 punti. C’è chi parla addirittura di truffa.

Unico fatto importante, l’intesa è stata proposta e firmata dai principali inquinatori: USA, Cina, Europa, India, Giappone, ecc. Ma si tratta solo di un’importanza simbolica, una dichiarazione di intenti presa per mascherare un fallimento che sarebbe stato mediaticamente controproducente. Un accordo stabilito in extremis da USA, Cina, India Brasile e Sudafrica (gruppo Basic) e appoggiato per misericordia diplomatica da Europa e Giappone, tenuti in disparte dalle negoziazioni. In concreto ci si limita a dichiarare che la temperatura media della Terra non deve aumentare di più di quei 2°C che gli scienziati considerano come soglia limite per evitare la catastrofe.

Come fare però a fermare questo riscaldamento? Per farlo bisogna ridurre, entro il 2050, del 50% le emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 1990. I paesi emergenti però non vogliono frenare il loro sviluppo se i paesi ricchi non tagliano da subito, e almeno del 25%, le loro emissioni. Nessuno ci sta, così nel testo non figura nemmeno una percentuale di riduzione.
Ricorda molto la storiella del “non è compito mio”. Era il vertice dove ognuno avrebbe dovuto concedere qualcosa. Invece nessuno ha fatto ciò che ognuno avrebbe potuto fare e ciascuno incolpa qualcuno del fallimento. Nessuno si vuole piegare e nessuno ha messo l’accento sull’insostenibilità del sistema economico. Nessun vincolo nemmeno per le industrie, nessun accenno alle energie alternative, nessun accenno all’agricoltura industriale (17/32 % delle emissioni globali).

Stanziati 30 miliardi per i prossimi 3 anni per aiutare i paesi più poveri ad affrontare le problematiche ambientali. Meno di un decimo di quanto richiesto dai paesi del G77 qualche giorno fa. Ci sarà inoltre un apposito fondo ONU che disporrà, entro il 2020, di 100 miliardi annui destinati sempre ai paesi poveri e finanziati da fonti pubbliche e private. Per salvare il gruppo assicurativo AIG il governo statunitense ha elargito 170 miliardi di dollari.

Dal punto di vista dei negoziati alcuni osservatori sono preoccupati da un sistema più simile a quello dell’OMC dove gruppi informali di pochi decidono a nome di tutti. L’accordo è stato preso in un meeting all’ultimo minuto tra Stati Uniti e il gruppo Basic. A gli altri Stati la scelta di aderirvi o meno.

In sostanza, l’accordo è una cornice senza quadro. Come al vertice Fao di Roma di qualche settimana fa. Il dipinto è tenuto in cassaforte in altra sede diplomatica. Gli accordi dell’OMC (il quadro) continueranno ad essere vincolanti mentre i pochi impegni presi in Danimarca (la cornice) sono l’ennesima favoletta a cui nessuno crede più. Gli accordi del OMC, fortemente vincolanti, non toccano il problema del cambiamento climatico ma ne sono direttamente responsabili. Il 21.5% delle emissioni di Co2 è legato al commercio internazionale, che andrebbe quindi frenato favorendo per esempio gli scambi locali. L’incongruenza è quindi ovvia. Le scelte si fanno a Ginevra, alla sede OMC, nei suoi corridori, nei meandri dell’informalità politica.

A Copenaghen si è solo contribuito ad aumentare il riscaldamento climatico. La macchina organizzativa della conferenza ha emesso più CO2 che quanto ne emette annualmente un paese come il Marocco. Se tutti stavano a casa era quindi meglio.

Riferimenti bibliografici:

http://unfccc.int/resource/docs/2009/cop15/eng/l07.pdf
http://en.cop15.dk/news/view+news?newsid=3070
http://www.faircoop.net/faircoop/images/Pdf/Wto_e_emissioni_darci_un_taglio_si_pu.pdf
http://www.gennarocarotenuto.it/11893-copenhagen-la-stoltezza-delloccidente-e-la-saggezza-dellinnominabile/#more-11893
http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/globi/Un-accordo-di-pochi-che-colpisce-tutti

lunedì 14 dicembre 2009

Da Seattle a Copenaghen, tra OMC e ONU, tra commercio e ambiente !



In questi giorni giorni, a inizio dicembre a Ginevra poi a Copenaghen, si svolgono due importanti incontri internazionali: la settima conferenza ministeriale dell’OMC e la Conferenza della Nazioni Unite sul cambiamento climatico. Questi due eventi cadono in un anniversario particolare: i dieci anni del vertice di Seattle.
Seattle fu un punto di svolta importante. Da un lato un fallimento politico: le fratture tra USA e Europa, tra Nord e Sud misero in evidenza le diverse concezioni di intendere la globalizzazione economica. Dall’altro le proteste che caratterizzarono le giornate dell’incontro ministeriale, contribuirono ad arricchire il dibattito sulla globalizzazione economica. Da allora fu chiaro che le questioni commerciali non avrebbero più potuto essere distinte da quelle ambientali e sociali. Malgrado fondamentalmente si occupino delle stesse tematiche (economia e quindi ambiente; ambiente e quindi economia), il sistema dell’OMC e quello dell’ONU (a cui si riferisce il vertice di Copenaghen) sono due regimi internazionali diversi. Da Seattle a Copenaghen, tra salvaguardia dell’ambiente e libero commercio, tra OMC e ONU, qualche considerazione sulla governance internazionale.

Seattle: un fallimento politico
Dal 30 novembre al 4 dicembre 1999 si tenne a Seattle la terza conferenza ministeriale dell’OMC. Quattro anni dopo la sua creazione, tremila delegati dei 135 paesi allora membri dell’organizzazione si trovarono nella città del grunge per avviare un nuovo ciclo di negoziazioni: il Millenium Round. L’obiettivo dell’incontro era quello di proseguire la strada della liberalizzazione del commercio mondiale stabilita dall’accordo di Marakkesh, che di fatto istituì l’OMC.
In gioco vi era la volontà dei paesi ricchi di ridisegnare i rapporti commerciali internazionali, stabilendo nuove regole che liberalizzassero gli scambi, soprattutto per ciò che concerne i prodotti agricoli e i servizi. Questa visione del commercio internazionale si scontrò fortemente con quella preconizzata dagli stati del Sud del mondo, stufi di soccombere ai dictat nord americani ed europei.
Da un punto di vista politico la conferenza di Seattle si chiuse con un fallimento. Il messaggio secondo cui la liberalizzazione degli scambi avrebbe permesso lo sviluppo dei paesi più poveri non passò. Per la prima volta i paesi del Sud, compatti, usarono a proprio vantaggio la regola del consenso. Questa prevede che si arrivi ad una decisione consensuale che non sia solo l’espressione della maggioranza, ma che integri anche i pareri della minoranza. In pratica, nessun stato membro dell’OMC deve considerare una decisione talmente inaccettabile da obiettarvi, come fu invece il caso a Seattle .
Inoltre la dura disputa tra Unione Europea e Stati Uniti sulla questione degli organismi geneticamente modificati e la spinosa problematica dei prodotti agricoli, contribuirono al fallimento del vertice. Europa contro USA, Sud contro Nord, ognuno con le proprie visioni, i propri interessi da difendere, il vertice di Seattle si tramutò in un tutti contro tutti e si chiuse con un nulla di fatto.

Le proteste: il popolo di Seattle
Il fallimento del vertice é dovuto principalmente alle debolezze della stessa OMC. Tuttavia la conferenza ministeriale fece fiasco anche a causa delle manifestazioni di protesta di decine di migliaia di persone, appartenenti a organizzazioni non governative, sindacati e movimenti cittadini, accorse a Seattle per protestare contro gli estremismi liberisti dell’OMC. Cittadini che sentivano di perdere progressivamente il proprio potere di controllo politico, a vantaggio di un mondo economico e finanziario che imponeva la regola dell’assenza di regole, sfruttava persone e distruggeva l’ambiente. Era un periodo, la fine degli anni 90, caratterizzato dalla caduta delle barriere economiche, dal rafforzamento del potere delle imprese multinazionali, dalla creazione di nuovi soggetti politici internazionali (OMC, UE, ecc.), dalla presa di coscienza sulle problematiche ambientali e dalla crisi dello stato sociale. Cinquantamila persone, chi dice centomila, si ritrovarono in una protesta collettiva fino a qualche mese prima impensabile, la più grande manifestazione di protesta su suolo statunitense dai tempi della guerra in Vietnam.
Da allora nacque la definizione di “popolo di Seattle”. Un variegato ed eterogeneo movimento internazionale, composto da studenti, lavoratori, ambientalisti, anarchici, cattolici, ecc., chiamato spesso, e a torto, “movimento antiglobalizzazione”. Malgrado le differenti anime presenti nel movimento esso ha effettivamente come obiettivo comune la battaglia contro la globalizzazione, ma quella dei mercati imposta dall’OMC. Una globalizzazione che non tiene conto di problematiche ambientali e sociali, una globalizzazione con molti vinti e pochi vincitori, soprattutto nei paesi poveri.
Da allora, il popolo di Seattle si ritrova così ad ogni incontro tra i grandi del mondo (G8, incontri del Fondo monetario internazionale, della Banca mondiale e dell’OMC, WEF, ecc.). Purtroppo, spesso e volentieri, le manifestazioni pacifiche sono state funestate da episodi violenti, causati da una minoranza furiosa di manifestanti (o di infiltrati?), che hanno distolto gli occhi dell’opinione pubblica dai messaggi portati avanti dalla maggioranza dei manifestanti (Genova 2001; Evian 2003).
Malgrado ciò, Seattle è ricordata perché fu “la scintilla che fece dilagare ovunque il movimento contro le multinazionali” . Personaggi allora sconosciuti ai più, come il contadino francese José Bové, la scrittrice e saggista canadese Naomi Klein, l’ONG Attac, ecc., diventano i simboli di questa battaglia internazionale contro le regole neoliberiste dell’OMC, accusate di favorire le multinazionali occidentali a discapito della salvaguardia dell’ambiente e dello sviluppo dei paesi del sud del mondo. Argomenti come il commercio locale, la tassazione delle transazioni finanziarie, il potere delle multinazionali, i brevetti e le biotecnologie, lo stesso termine globalizzazione diventano, dopo Seattle, parte importante dei discorsi e dell’agenda politica internazionale.

La governance mondiale tra commercio e ambiente
Il vertice di Seattle e le proteste che ne conseguirono misero in evidenza due importanti fattori. Il primo riguardava l’inadeguatezza e la legittimità dei negoziati internazionali in seno all’OMC. Il secondo metteva in rilievo il fatto che la liberalizzazione economica debba tener conto di altri fattori come quello della salvaguardia dell’ambiente e dello sviluppo dei paesi più poveri.
Dopo il vertice statunitense, la conferenza ministeriale di Cancun del 2003 si chiuse pure con un fallimento, mentre il round negoziale lanciato a Doha nel novembre 2001 presentò fasi assai conflittuali senza che, ancora oggi, nonostante i ripetuti incontri, si sia arrivati ad un accordo finale.
Da Seattle in poi si impone chiaramente la questione di una migliore governance mondiale degli scambi commerciali. Dieci anni dopo quel vertice la questione dell’efficacia e della legittimità del OMC è sempre presente. Su iniziativa della Svizzera e di altri pesi in questi giorni a Ginevra, oltre ad affrontare il ruolo dell’OMC nell’attuale contesto economico, si discuterà anche sull’istituzione in seno all’organizzazione di “una piattaforma di discussione che dovrà servire a migliorarne il funzionamento, l’efficienza e la trasparenza” .
Le proteste di Seattle misero in evidenza il fatto che la globalizzazione economica imposta dalle regole dell’OMC è causa dei gravi danni ambientali e sociali di cui siamo ogni giorno più consapevoli. Si è arrivati ad una maggior consapevolezza che i fenomeni economici e le principali problematiche che toccano il pianeta - il surriscaldamento climatico, la crisi alimentare, la necessità di trovare fonti energetiche alternative - sono profondamente collegate tra loro. Come indicato dal comunicato stampa della delegazione svizzera che parteciperà alla conferenza di Ginevra, si impone “una maggiore coerenza tra la politica commerciale, ambientale e sociale e una migliore collaborazione tra le organizzazioni internazionali specializzate in questi settori politici” . Vedremo se ci sarà coerenza: la conferenza ministeriale dell’OMC cade in effetti pochi giorni prima dell’atteso vertice delle Nazioni Unite sul clima di Copenaghen, destinato a sostituire il protocollo di Kyoto. Secondo le parole del ministro Leuthard, se la Svizzera si adopererà “per far sì che l'OMC assuma un ruolo costruttivo nella lotta contro il riscaldamento climatico” , questo deve inevitabilmente passare da una maggiore collaborazione tra le varie istanze internazionali.
Il problema rimane a questo punto la differenza tra il regime dell’OMC e quello dell’ONU. Gli accordi presi in seno all’OMC sono vincolanti. Non esiste nessun altra istituzione internazionale che dispone di mezzi giuridici e giudiziari così vincolanti da imporre la realizzazione dei suoi scopi. Uno stato può ricorrere contro un altro se considera che questo violi gli accordi stabiliti. Un organo di risoluzione dei differendi (ORD) giudicherà il caso e potrà imporre delle sanzioni, anche economiche, alla parte in causa. Ciò non avviene nei trattati dell’ONU, dove le parti si impegnano a rispettare gli accordi stabiliti senza essere vincolati da sanzioni economiche. A differenza degli accordi presi in seno all’OMC, ciò che verrà deciso a Copenaghen non avrà effetti così vincolanti. Come spiega De Senarclens, professore di relazioni internazionali all’università di Losanna: “in linea di principio, la protezione dell’ambiente, il rispetto dei diritti umani e dei diritti sociali, gli obiettivi di sviluppo sostenibile, sono subordinati al rispetto delle obbligazioni prese in seno all’OMC” .
E un dato di fatto che la situazione climatica attuale sia dovuta al nostro sistema economico ed è favorita dalle regole liberiste dell’OMC. La crisi climatica si scontra quindi con le regole del mercato, per cui è difficile capire come delle pratiche economiche più favorevoli all’ambiente, ad esempio lo sviluppo del commercio e dell’agricoltura locale, si possano conciliare con le regole dell’OMC che puntano esclusivamente sul mercato globale. Ci si deve quindi chiedere se l’OMC abbia il diritto ad un tale potere nel gestire delle problematiche da cui dipende il futuro del pianeta.


1999-2009: un esame di maturità
Sono passati dieci anni da Seattle. La storia è cambiata, l’economia ha subito la più grave crisi degli ultimi 80 anni, l’ambiente sta sempre peggio e la politica se ne deve occupare sempre di più. Comunque vada a Copenaghen si potrà constatare se gli organismi internazionali hanno passato l’esame di maturità. Da un lato se è cambiato qualcosa all’interno degli organismi internazionali, dall’altro si potrà anche vedere come è maturato quel popolo di Seattle che anche in Danimarca farà sentire la propria voce.
Per il movimento di protesta l’esame di maturità avverrà se da un lato riuscirà ad isolare la minoranza violenta, senza che ciò implichi l’abbandono di tecniche di disobbedienza civile e se d’altro canto, come afferma Naomi Klein, si riuscirà da un punto di vista politico a “tenere conto degli errori commessi” . Il movimento è stato spesso criticato per il fatto che al lungo elenco di critiche alla globalizzazione non hanno mai fatto seguito delle alternative concrete. A Copenaghen, focalizzandosi esclusivamente sulla tematica ambientale, la coalizione dei movimenti scaturiti da Seattle ha la possibilità “di imbastire un coerente modus operandi d’insieme sulle cause e sui rimedi che coinvolge in teoria ogni questione riguardante il pianeta” . L’obiettivo è quello di inserire nel protocollo quelle proposte concrete che il movimento propone da anni: un’agricoltura locale e sostenibile, dei progetti di impianti energetici di piccole dimensioni e decentralizzati, il rispetto per il diritto alla terra delle popolazioni indigene, il finanziamento di queste trasformazioni con tasse sulle transazioni finanziarie e la cancellazione dei debiti dei paesi poveri.
Per quanto riguarda le negoziazioni politiche l’attenzione, anche mediatica, sarà puntata verso il vertice di Copenaghen. L’incontro di Ginevra è una conferenza di routine, per cui non ci si deve aspettare niente di eclatante. Per il vertice danese invece l’attesa è enorme . Vedremo se si assisterà, ancora una volta, ad uno scontro tra paesi ricchi e paesi in via di sviluppo che si vogliono sviluppare, vedremo se Stati Uniti, UE e Cina, i grandi inquinatori del pianeta, saranno in grado di scendere a compromessi. Vedremo se si riuscirà a ripensare ad un economia che tenga maggiormente in considerazione le problematiche ambientali, creando una sorta di “giustizia climatica” che incentivi per esempio le energie alternative e penalizzi l’uso dei combustibili fossili. Ciò dimostrerebbe una maggior maturità della politica internazionale. Un passo avanti rispetto a Seattle, ma anche rispetto a Kyoto. Non solo parole, ma anche azione concrete. Vedremo se, a differenza di Seattle (e a differenza di un Doha Round ancora bloccato), a Copenaghen i vari interessi mondiali in gioco riusciranno ad accordarsi per stabilire un protocollo climatico all’altezza della drammatica situazione che si è costretti ad affrontare. E una corsa contro il tempo: urge un protocollo forte, firmato, ratificato e rispettato da tutti.
Tuttavia anche se l’eventuale Protocollo di Copenaghen sarà un accordo importante, decisivo, bisognerà aspettare e sperare che questo sia rispettato. L’impegno preso nella capitale danese sarà, comunque vada, succube del regime dell’OMC che è più coercitivo e molto meno focalizzato sulle conseguenze ambientali delle attività economiche transnazionali. In ultima analisi, a mio avviso, il problema fondamentale resta la disparità tra questi due regimi internazionali. Questioni di priorità: commercio e ambiente o ambiente e commercio? E questo il dilemma.

lunedì 7 dicembre 2009

L'assassino silenzioso!



Il 10 dicembre si apre a Torino il processo eternit. Il primo processo penale al mondo per la strage dell’amianto. Con 2889 parti lese é il secondo più grande processo per reati ambientali d’Europa, dopo quello relativo alla strage di Bhopal in India. Sul banco degli imputati il miliardario svizzero (aimè) Stephan Schmideiny e il barone belga Louis de Cartier de Marchienne, proprietari, in diversi periodi della loro storia, di Eternit, il gruppo che lavorava amianto in Italia. I due sono accusati di disastro doloso e di omissione dolosa di controlli antinfortunistici. In pratica sapevano della pericolosità dell’amianto e non hanno fatto nulla per evitare le morti. Per prolungare l’attività dello stabilimento piemontese (e quindi dei suoi profitti) si omettevano i dati sulla pericolosità a lungo termine di questa fibra. Lo stato italiano è a sua volta sul banco degli imputati, accusato di non avere rispettato le sue stesse leggi. Se ci fossero stati i controlli il disastro forse sarebbe stato evitato.

Una polvere terribile quella dell’amianto, una polvere che, se respirata, provoca l’asbestosi (l’amianto è anche detto asbesto) e tumori a polmoni (mesotelioma) e bronchi. La fibra d’amianto è 1300 volte più sottile di un capello umano e non esiste in teoria una soglia di rischio al di sotto della quale la sua concentrazione nell'aria non sia pericolosa. La fibra d’amianto è pericolosa e basta. L’amianto è morte. Le malattie legate all’amianto non si possono curare. Si può prolungare la vita, ma d’amianto si crepa.

Dal punto di vista industriale fino agli anni 80 si utilizzava l’amianto soprattutto per produrre la miscela cemento-amianto, che non è altro che l’eternit. Questo serviva per materiali edilizi (tegole, pavimenti, ecc.), la coibentazione di edifici e tetti (ma anche navi, treni, ecc.). Le tute dei vigili del fuoco erano anche fatte in amianto. Infatti l’amianto è ignifugo.

Già nel 1943 la Germania nazista riconobbe la natura cancerogena dell’amianto e risarcì i lavoratori danneggiati. Il rapporto diretto tra amianto e tumori fu già allora dimostrato. Dagli anni 60 la comunità scientifica sa che l’amianto fa male, dagli anni settanta si sa che lavorare l’amianto può costare la vita. Tuttavia in Italia l’amianto è fuori legge solo dal 1992.

Nella sola penisola l’amianto ha provocato migliaia di morti, soprattutto tra gli operai che lo lavoravano. Ma l’amianto uccise anche i loro famigliari e coloro che risiedevano vicino agli stabilimenti. Colpite soprattutto zone costiere come Monfalcone (provincia di Gorizia) e Trieste al Nord Est, Genova e La Spezia al Nord Ovest, Massa Carrara, Livorno e Pistoia al centro e Napoli (Bagnoli), Taranto e Siracusa (Piolo)al Sud.

La città alla quale è inevitabilmente legata la vicenda dell’amianto e a cui si riferisce il processo di Torino è Casale Monferrato, in Piemonte, sede per un ottantina di anni di una grande fabbrica della Eternit. A Casale l’amianto veniva espulso dallo stabilimento industriale con dei ventilatori i quali sparpagliavano morte in città. A Casale sono morte 1600 persone. Una strage.
E una città distrutta Casale Monferrato. Le parti lese al processo sono quasi 3000. Ogni famiglia, ogni cittadino è colpito direttamente da questa tragedia. La fabbrica chiuse nel 1986, ma la sua bonifica non è ancora conclusa. A Casale l’amianto è ovunque, si dissemina nei corpi delle persone, ma anche nelle case, nelle scuole. L’unica maniera per bonificare l’amianto è cementarlo. E quindi impossibile bonificare tutto completamente. Molte persone sono morte a Casale e molte moriranno ancora. La lana della salamandra, così veniva chiamato dai greci l’amianto, è ancora vivo e continua a provocare morte. L’amianto è un assassino silenzioso, un serial killer titola un libro di Stefania Divertito. Secondo l’autrice ogni anno in Italia sono 4000 i decessi legati all’asbesto. Il peggio deve ancora arrivare. Il picco di latenza dell’amianto ha una trentina d’anni (posso ammalarmi fra trenta anni per una contaminazione avvenuta oggi), il culmine massimo sarà quindi fra 10-15 anni. Si stima che ci sono 32 milioni di tonnellate di fibre di amianto ancora sparse in Italia (soprattutto in discariche abusive). In Italia l’amianto è illegale dal 1992, ma bisogna ricordare che in molti paesi del Sud del mondo spesso si continua ad utilizzarlo.

Il maxi processo Eternit di Torino è solo il più famoso delle cause legate all’amianto. Altri ve ne sono stati. Altri sono in corso o partiranno fra poco. Per esempio, il 2 dicembre a Monfalcone si è aperto un processo per omicidio colposo. Sono imputati 21 ex dirigenti dei cantieri navalmeccanici in relazione alla morte di 18 operai. Morti riconducibili all’esposizioni all’amianto. Il 12 gennaio a Padova ci sarà un processo contro 8 ufficiali della marina militare per la morte, anch’essa riconducibile all’amianto, di due marinai.
Le aspettative dei familiari delle vittime sono molte. Una battaglia per alcuni cominciata negli anni ottanta. Vedremo se giustizia sarà fatta. Una spada di damocle pende tuttavia sul processo: l’approvazione del disegno di legge sul processo breve, l’ennesima furbata berluscomica, rischia di compromettere anni di lavori.

Riferimenti bibliografici:
http://www.dillinger.it/amianto-storia-di-un-serial-killer-31706.html
http://www.inail.it/Portale/appmanager/portale/desktop?_nfpb=true&_pageLabel=PAGE_SALASTAMPA&nextPage=News_prima_pagina/info-1705452045.jsp
http://unoenessuno.blogspot.com/2008/09/blu-notte-amianto-le-morti-silenziose.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Asbesto
http://blog.verdenero.it/2009/07/22/amianto-a-dicembre-si-parte-con-il-processo-eternit/
http://blog.verdenero.it/2009/10/28/amianto-lintervento-di-stefania-divertito-su-linea-notte/


Consiglio: guardate su youtube la puntata di Blu Notte sull’amianto:

http://www.youtube.com/watch?v=ZyMNYVkc65w

Libri sul tema:

- Amianto. Storia di un serial Killer.
Di Stefania Divertito

- La lana della salamandra. La vera storia della strage dell’amianto a Casale Monferrato.
Di Giampiero Rossi

sabato 5 dicembre 2009

Stop OGM!



Con 23 voti a favore e 14 contrari il consiglio degli Stati ha deciso lunedì di prolungare di 3 anni la moratoria sulla coltivazione commerciale di piante geneticamente modificate. La moratoria, che sarebbe scaduta nel novembre 2010, è così prolungata fino a fine 2013. Il consiglio degli Stati si adegua così alle raccomandazioni manifestate dall’apposita commissione (sulla modifica della legge sull’ingegneria genetica nel settore non umano) e dal Consiglio federale. Ricordo che la moratoria era stata approvata da popolo e cantoni in una votazione del 2005. (Una delle rare volte in cui mi sono trovato d’accordo con il risultato di una votazione). Aspettiamo ora votazione al consiglio nazionale.

Stop OGM, il coordinamento romando di contadini, consumatori e organizzazioni di cooperazione e sviluppo sottolinea i vantaggi di questa scelta politica. Vantaggi per i consumatori, i coltivatori, i distributori e per l’ambiente. Inoltre, l’assenza di colture genetiche sul territorio svizzero costituisce un vantaggio in termini di “marketing” per l’agricoltura svizzera, risparmiando ai contadini delle fastidiose controversie sulla coesistenza tra i differenti modi di fare agricoltura.

L’ONG Swissaid sottolinea l’importanza di questa scelta: il fatto che la Svizzera, sede di Syngenta, prolunghi la moratoria costituisce un segnale forte in direzione di quei paesi dell’Africa, Asia e America latina ai quali gli OGM sono spesso imposti nel nome del “progresso” e come soluzione nella lotta contro la fame.

http://www.stopogm.ch/images/pdf%20index/011209_prolongation%20moratoire%20CE.pdf
http://www.swissaid.ch/index_fr.php

mercoledì 2 dicembre 2009

Conferenza ministeriale dell’OMC : un’altra foto di gruppo.



Cronaca di un vertice annunciato:

Riunione di routine in questi giorni a Ginevra. Nulla di eclatante, i delegati dell’Organizzazione mondiale del commercio si sono ritrovati per la consueta conferenza ministeriale. Ad uno ad uno i ministri dell’economia salgono sul palco per fare la propria allocuzione. Assopita, l’assemblea ascolta gli interventi. Centocinquanta discorsi in 3 giorni sono troppi anche per i professionisti “del fare altro ascoltando gli altri”.

Fuori dalla sede dell’organizzazione sono attesi i manifestanti no global. Non arriveranno mai. La polizia lascia campo aperto agli arrabbiati black block. I manifestanti pacifici si ritirano. Le agenzie di stampa riferiranno di 35 vetrine rotte e 28 macchine bruciate. I soliti altermondialisti… Delle ragioni dei manifestanti (pacifici) è preferibile non parlare.

A Ginevra non è previsto nessun accordo negoziale. Del ciclo di Doha si discuterà a porte chiuse, nelle segrete stanze del lobbying. Piuttosto, i ministri sono invitati a soffermarsi sul ruolo dell'OMC. Va bene così. Obiettivo dell’incontro: fare il punto dello stato del commercio mondiale dopo la crisi dei mercati finanziari. Sembra che i dubbi sul commercio sono i medesimi di quelli di un maschio in andropausa: tira…non tira…é in crisi e vorrebbe la sua libertà…si sente schiacciato dalle regole imposte…

A margine della conferenza si coglie l’occasione per sviluppare negoziati bilaterali e accordi informali. Colloqui politici di alto livello. La diplomazia del corridoio. La Svizzera invita ad un incontro i paesi del G10. Il G10 non è un G8 allargato, bensì un gruppo di Paesi (Corea del Sud, Israele, Islanda, Giappone, Mauritius, Norvegia, Liechtenstein, Chinese Taipei, Svizzera) che esportano una quantità di prodotti agricoli superiore a quella importata. Geniale!

A Ginevra è solo routine. Dopo tre giorni, una dichiarazione d’intenti e un arrivederci a tutti fra due anni.Un vertice annunciato. Un aperitivo, un cocktail. Un’altra foto di gruppo.

Il rituale dei vertici Fao

Il vertice Fao 2009 si è chiuso con il solito nulla di fatto: molte promesse, pochi fatti e poco denaro per risolvere concretamente il problema della crisi alimentare. Gli incontri internazionali di questo tipo sono talmente scontati che ci é permesso prevederli con ampio anticipo. Senza presunzione di veggenza, azzardiamo un resoconto del vertice Fao 2010.


Lanciato dalla rivoluzionaria idea scaturita dal precedente vertice del G20, secondo cui la fame nel mondo è una piaga inaccettabile da combattere con ogni mezzo, il vertice Fao 2010 si apre con molte speranze. Tuttavia, avendo già partecipato al G20, i capi di stato delle principali potenze mondiali sono assenti a Roma. Fa eccezione un raggiante Silvio Berlusconi che, assolto per prescrizione da tutti i suoi processi, delizia la platea con numerose barzellette somale. Guidati da Gheddafi e Mugabe, sono invece presenti in maniera massiccia i rappresentanti degli stati africani, i più duramente colpiti dalla crisi.

Dopo tre giorni di focose discussioni, il vertice si chiude con la consueta dichiarazione di intenti. Si tratta di una riproduzione del documento scaturito dal vertice 2009, il quale a sua volta non era altro che una copia zampillata dal vertice 2008. E così via, nel classico rito dei vertici Fao. Anche quest’anno si propone una dichiarazione di principi in cui gli stati si impegnano a combattere il flagello della fame nel mondo. L’obiettivo resta quello di dimezzare gli affamati entro il 2015. Un obiettivo che sarà riproposto annualmente, vertice Fao del novembre 2014 compreso.

A parte questo documento il vertice 2010 sarà ricordato per la lite avvenuta tra i burocrati della Fao e il Commissario speciale delle nazioni unite per il diritto all’alimentazione, il belga de Schutter, invitato speciale del vertice. Quest’ultimo è accusato di aver distorto le vere cause della problematica alimentare. De Schutter ha in effetti pronunciato un inedito discorso in cui punta l’indice contro la speculazione finanziaria sulle materie prime e il sistema dei brevetti, accusando le multinazionali occidentali di monopolizzare le sementi e di imporre culture industriali e geneticamente modificate. Il Commissario ha inoltre criticato fortemente gli Stati, rei di non fare abbastanza per garantire i diritti degli agricoltori, come imposto dal Trattato Internazionale sulle risorse fitogenetiche della stessa Fao. Mentre era intento a sottolineare la necessità di riforme nella governance delle problematiche alimentari, evidenziando l’impotenza della Fao e il ruolo predominante dell’OMC nella regolamentazione internazionale dell’agricoltura, de Schutter è stato portato via dalle guardie di sicurezza del vertice. Interrogato per ore in un commissariato romano e in seguito rilasciato su cauzione, di lui si sono perse le tracce.

Malgrado questo spiacevole inconveniente, il vertice Fao si è chiuso anche quest’anno come consuetudine: un nulla di fatto. Da sottolineare che la richiesta del direttore generale Diouf di creare un fondo annuo di 50 miliardi di dollari per favorire lo sviluppo dei piccoli agricoltori è stato bocciato dall’assemblea. Pare fosse stato già stanziato un fondo al G8 2009, di cui però si sono perse le tracce. Non sono i soldi il problema, il documento stabilito è già un buon punto di partenza, viene indicato da una nota stampa.

Dopo il cocktail offerto da Berlusconi a palazzo madama e l’immancabile foto di gruppo, i delegati Fao si sono cordialmente salutati. L’appuntamento è per l’anno prossimo: il rituale continua.