lunedì 1 marzo 2010

L'irresistibile ascesa!

Continua la marcia trionfale degli OGM.


Come risultato di consistenti e sostanziali benefici produttivi, economici, ambientali e sociali, nel 2009 un record di 14 milioni di piccoli e grandi agricoltori in 25 paesi hanno piantato 134 milioni di ettari (330 milioni di acri), con un incremento del 7% equivalente a 9 milioni di ettari (22 milioni di acri) rispetto al 2008 […] L’aumento di 80 volte della superficie coltivata con colture biotech tra il 1996 e il 2009 è senza precedenti e fa delle colture biotech la tecnologia adottata con maggior velocità nella storia recente dell’agricoltura; questo riflette la confidenza e la fiducia di milioni di agricoltori in tutto il mondo che hanno continuato in modo consistente a coltivare colture biotech ogni anno fin dal 1996, stimolati dai molti e significativi benefici che esse offrono.” (1) Mai fesseria fu più grande….

In questi giorni a Pechino è stato presentato il tradizionale rapporto sullo stato del commercio delle agrobiotecnologie da parte dell’International Service for the Acquistion of Agri-biotech Applicationms (ISAAA). Quest’ultima è un’istituzione fondata da quei cari filantropi disinteressati della Rockefeller Foundation ed è finanziata, tra gli altri, da Monsanto, Bayer e USAID (2). Il rapporto di quest’anno è interamente sostenuto da due altre organizzazioni filantropiche europee: la fondazione italiana Bussolera-Branca “che sostiene l'aperta condivisione delle applicazioni sulle colture biotecnologiche al fine di migliorare la presa delle decisioni da parte della società internazionale” (3); e l'unità filantropica all'interno di Ibercaja, una delle più grandi banche spagnole. Tutto ciò naturalmente va ad aumentare la già alta considerazione che ho verso questo tipo di filantropia (o licantropia?).

Ecco veloce qualche numero di questo irreversibile fenomeno estrapolato da questo rapporto:
In testa alle coltivazioni Ogm restano gli Stati Uniti d'America (64 milioni ha), al secondo posto il Brasile (21,4 milioni ha.), che ha superato l'Argentina (21,3 milioni ha) con una crescita impressionante nel 2009 (+ 35%) e per buona pace dell’Amazzonia e della sua biodiversità. Seguono l'India (8,4 milioni ha.), il Canada (8,2 milioni ha.), la Cina (3,7 milioni ha), il Paraguay (2,2 milioni ha) e il Sudafrica (2,1 milioni ha). Gli altri Paesi con coltivazioni OGM di un certo peso sono Bolivia, Filippine, Australia, Burkina Faso, Spagna, Messico, Cile, Colombia, Honduras, Repubblica Ceca, Portogallo, Romania, Polonia, Costa Rica, Egitto e Slovacchia.

Solo l’Unione Europea è in controtendenza con una diminuzione degli OGM coltivati, soprattutto grazie alla Germania che ha stoppato le sue coltivazioni biotecnologiche. L’80% della coltivazione di OGM in Europa è spagnola.

Oltre al Brasile impressiona anche l’esplosione del cotone OGM in Burkina Faso che ha raggiunto il 29% della produzione totale del paese africano che, immagino, continui ad essere molto povero. In Africa l’avanzata continua: + 17% in Sudafrica e + 15% in Egitto.

In generale i paesi in via di sviluppo fanno segnare un aumento più marcato (+13%) rispetto ai grossi paesi industrializzati (+ 3%). A medio termine le prospettive indicate sono ancor più inquietanti: entro il 2010 ci sarà la commercializzazione del cotone OGM in Pachistan, quarto più grande produttore di cotone, la potenziale adozione di cotone e mais biotech in altri paesi africani (Malawi, Kenya, Uganda e Mali su tutti), l’adozione del famoso Golden Rice (un riso che per soddisfare le miracolose facoltà con cui viene pubblicizzato bisogna mangiarne 9kg al giorno! (4)) nelle Filippine nel 2012 e in India e Bangladesh entro il 2015, e poi l'Indonesia, il Vietnam e la Cina. Quest'ultima si affaccia come poteniale potenza biotecnologica del pianeta.

Il 46% degli ettari globali di OGM è oramai in paesi in via di sviluppo. Ci si aspetta un superamento entro il 2015, l’anno del “Millenium Develpopment Year” ossia la data che la comunità internazionale si è prefissata per dimezzare fame e povertà. Il rapporto a proposito ci dice: “Biotech crops are already contributing to this goal, and the potential for the future is enormous”. D’altronde tutti i dati emersi quest’anno lo confermano. Se fra cinque anni sarà così farò il giro del mondo in ginocchio. Ma mi dicono, quelli dell’ISAAA, che mi sbaglio ancora, che le cause sono soluzioni:

“A seguito della crisi alimentare del 2008 (che ha causato rivolte in oltre 30 paesi in via di sviluppo e rovesciato il governo in due di questi – Haiti e Madagascar), c’è stata la presa di coscienza da parte della società globale del grave rischio per il cibo e la pubblica sicurezza. Come risultato, si è registrato un significativo aumento della volontà politica e del supporto verso le colture biotec nel gruppo dei paesi donatori, nella comunità scientifica e per lo sviluppo internazionale e tra i leader dei paesi in via di sviluppo. Più in generale, c’è stata una rinascita e il riconoscimento del ruolo essenziale dell’agricoltura per il sostegno alla vita da parte della società globale e, importante, il suo ruolo vitale per assicurare una società globale più giusta e pacifica. In particolare, c’è stato un accorato appello per raggiungere “una sostanziale e sostenibile intensificazione della produttività delle colture, per assicurare l’autosufficienza alimentare e la sicurezza alimentare, utilizzando sia applicazioni convenzionali che biotecnologiche”.

Stop! Sto facendo troppo leva sulla mia fragile pazienza nell’osservare questo rapporto, per cui smetto subito di farlo.

Fonti

Per chi fosse interessato: http://www.isaaa.org/;
per un sintesi in italiano: http://www.isaaa.org/resources/publications/briefs/41/highlights/pdf/Brief%2041%20-%20Highlights%20-%20Italian.pdf).

1)http://www.isaaa.org/resources/publications/briefs/41/highlights/pdf/Brief%2041%20-%20Highlights%20-%20Italian.pdf
2)http://www.isaaa.org/inbrief/donors/default.asp
3)http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=3630&lang=it
4)F. William Engdhal: “Seeds of distruction”, Global Research 2007, a proposito soprattutto il capitolo 8: Food is power, p.152-160

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