giovedì 29 settembre 2011

Basterebbe uno sgabello!

Dove vivi?
Dove vorresti vivere?
Dove hai vissuto?
Dove hai sostato?
Dove hai transitato senza fermarti?
Dove stai andando?
Dove fondare una città? Dove fondare la mia città?
Dove ci siamo già visti?
Dove ti porta il cuore?
Dove sei, fratello?
Dove eravamo?
Dove saremo?


Basterebbe uno sgabello!
(Rielaborazione di un racconto proposto nell'ambito di un concorso organizzato dlla rvista UNO e Tikinò)




Ausonio ha 28 anni. Con quel nome sulle spalle Ausonio ha appreso sin da piccolo a prendere la vita con filosofia, tanto da eleggere le scienze filosofiche a indirizzo di studio. Una scelta sbagliata. Dopo l’università ha fatto i mestieri più disparati: cassiere, vendemmiatore, traslocatore, giornalista precario e supplente. Mai il filosofo, però. Ma che mestiere sarebbe poi, quello del filosofo?

Ausonio ci pensa spesso. Cosa farà da grande? Ma è già grande. Ha sbagliato qualcosa? Forse l’indirizzo dei suoi studi? La filosofia di certo non li riempie le tasche.

È l’incertezza del quasi trentenne che non ha ancora trovato la sua strada. Anche se in fondo una via l’aveva trovata, quando era in viaggio. Poi i soldi sono venuti a mancare ed è dovuto rientrare a casa, nella sua città.




Già, la sua città: che tristezza, ecco cosa non andava. Non era lui ad essere sbagliato ma la sua città.




Nuova, grande, con strade piene di auto, parcheggi, palazzi progettati da famosi architetti, grasse banche e boutique. Un paesaggio da cartolina: il lago, le palme, splendidi parchi dove è vietato sdraiarsi per leggere un libro.
La sua città ha.
Ma la sua città non è.
Non è una città.
È un posto di lavoro, un dormitorio, uno spazio commerciale, un non luogo turistico.





La città, per sussistere, deve essere qualcosa di politico, nel senso nobile del termine.
D’altronde lui lo ha studiato: il termine politica prende origine dal greco polis, città appunto. È l’autogoverno, la partecipazione dei cittadini alle faccende pubbliche




Il contrario di quanto accade nella nostra epoca. Vi sono residenti che dormono, lavorano, vanno al cinema, allo stadio. Ogni quattro anni votano. Delegano il governo della città a qualcuno che dovrebbe rappresentarli, nell’interesse generale. Ma poi si sa: l’interesse generale è dubbio e fluido. Un nulla e diventa interesse personale. È la politica dei piani regolatori modificati, delle speculazioni edilizie, dei subappalti, della legge del cemento.

Così la città, nel senso fisico del termine, prende forma: si modella, diventa nuova, grande, costruisce, demolisce (ma tutte quelle belle case Jugendstil e Art nouveau dove sono finite?), delegando ai cittadini il quadriennale gesto di una busta nell’urna.




Ausonio ci pensa: se la città non è, bisogna fondarla. Già, ma come fondare la sua città





*



Un giorno entra in un negozio dell’usato alla ricerca di qualche libro o di un vecchio disco. Ne esce con uno sgabello di legno.




Oggi, con il suo sgabello, Ausonio fonderà la sua città. Nel centro della piazza sale sul treppiede e improvvisa:




“ Cari concittadini … ehm cari residenti.. vi siete mai chiesti dove abitate?... Questo palazzo… che ne dite, vi piace? No? … d’altronde non avete deciso voi di costruirlo … o meglio voi avete non deciso … per cui qualcuno ha deciso per voi … “



La gente frettolosa non lo nota. Chi si ferma un attimo pensa subito a qualche rotella fuori posto. Due agenti lo invitano ad allontanarsi, a non disturbare. Ausonio se ne va.



Torna il giorno dopo:




“ Il nostro territorio non è un fondo speculativo … vi siete mai chiesti? Dobbiamo partecipare, tutti assieme … partecipare alla sua progettazione …cittadini, architetti …invece qui gli architetti sono sindaci ...e i sindaci decidono che le vecchie case sono da abbattere...per farle costruire da nuovi architetti...che sono i sindaci...”



E il giorno dopo ancora, e poi ancora, ogni giorno un nuovo tema: “ Signori .. vi siete mai chiesti? ... “




Con dedizione e costanza, Ausonio prova a rifondare la sua città, a riempire un contenitore vuoto. All’inizio appare come lo svitato del villaggio. Nessuno le prende sul serio. Gli agenti lo allontanano.




Ma piano piano qualcuno comincia ad ascoltarlo. Prima qualche individuo curioso. Poi sempre più gente, cinque, dieci, venti, cento. La gente comincia a prendere la parola. La piazza diventa agorà, Ausonio cede il suo treppiede. Un anziano vuole dire la sua, una signora si toglie i tacchi e interviene con fervore sulla tematica della scuola. Un sedicenne parla di musica, di spazi per suonare.



Non ci sono maggiorenni e minorenni, maggiorati o minorati. Lo sgabello diventa una piccola tribuna dove esporre le problematiche della città, le soluzioni, i possibili rimedi.




Certo, l’autogoverno è solo attorno allo sgabello. Nel palazzo i rappresentanti decidono sempre in solitario. Nella grande doccia della politica (nel senso meno nobile del termine) Ausonio e la sua combriccola continuano a piegarsi a raccogliere saponette. Intanto però la rifondazione ha avuto luogo. La città ridiventa città, il contenitore si riempie. Una situazione é creata. I residenti ritornano ad essere i cittadini, che partecipano, che si chiedono. Che vivono, non solo respirano.




Le saponette, meglio raccoglierle con filosofia!


















































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