mercoledì 19 agosto 2009

L’ultima zampata del leopardo

La vicenda dell’eredità di Mobutu mette alla luce le difficoltà della Svizzera e della sua piazza finanziaria nel riaprire le pagine scomode del suo passato.




Ci si potrebbe chiedere, e arrabbiarsi non poco, sul perché la Svizzera è messa ultimamente sul banco degli imputati a causa del segreto bancario da stati che, in quanto ad etica e morale, dovrebbero forse starsene muti. Tuttavia l’orgoglio nazionale, simboleggiato dalla fiera difesa del segreto bancario, non dovrebbe permetterci di vantarci delle responsabilità che tale segreto ha avuto nel corso degli ultimi 50 anni. Il ruolo delle banche svizzere durante la seconda guerra mondiale, emerso una decina di anni fa, ha messo in questione la credibilità del nostro paese e della sua piazza finanziaria, accusata allora di essere stata complice del bieco regime nazista.
Nel corso degli ultimi 50 anni, non solo i nazisti hanno approfittato della discretezza dei nostri banchieri: dittatori e politici corrotti di tutto il mondo, dalle Filippine all’Africa, passando per Haiti, hanno aperto conti privati nelle nostre banche, depositando discretamente (ma forse non troppo) le enormi fortune pubbliche trasformate così in fortune private.
Se l’apertura di questi conti non ha potuto essere evitata, si è voluto tuttavia fare in modo che, a morte avvenuta di questi personaggi, le ricchezze accumulate tornassero a disposizione delle popolazioni alle quale erano state sottratte. Pertanto, come dimostra il recente caso della fortuna del dittatore africano Mobutu Sese Seko, questo impegno sembra essere messo in discussione dalle lacune della nostra legislazione e da una mancanza di volontà politica nel riaprire scomode pagine del nostro recente passato. Ripercorriamo brevemente la vicenda sull’eredità di Mobutu, passata un po’ in sordina dai nostri media, presi forse nella morsa del torpore estivo e dalla volontà di non sputare nel piatto dove si mangia.

Mobutu Sese Seko Kuku Mgbendu Waza Banga ha regnato incontrastato per 32 anni sullo Zaire, uno dei più grandi stati africani, ricchissimo di materie prime (oro, argento, diamanti, cobalto, alluminio, ecc.). In questo trentennio di tirannia, Mobutu e il suo clan hanno accumulato una fortuna rivoltante, che ha permesso loro di vivere una vita da nababbi in un paese tra i più poveri del mondo. Questa fortuna è stata (naturalmente?) depositata nei sicuri forzieri delle nostre banche. Mobuto e il suo regime cleptocratico hanno regnato per più di trent’anni, sostenuti dalle democrazie occidentali che, in un contesto di guerra fredda, vollero farsi amico questo enigmatico personaggio che aveva spodestato il filo marxista Lumuba (primo e unico presidente democraticamente eletto). Così, malgrado le provate violazioni dei diritti dell’uomo, Mobutu instaura delle relazioni cordiali e affari commerciali miliardari con i principali stati occidentali, ricevendo addirittura la visita del papa che ne benedette le nozze. Inoltre, le ricchezze dello Zaire ingolosiscono non poco le multinazionali occidentali (e svizzere), pronte ad investire in progetti faraonici (e sovente inutili) nel paese africano.
Il leopardo di Kinshasa, cosi veniva chiamato per la sua mania di vestire abiti leopardati, ha sottratto allo stato tutte le sue ricchezze, distribuendole soltanto alla sua clicca, e distruggendo completamente l’economia locale a causa di un sistema clientelista e altamente corrotto. Si stima che il clan Mobutu spendeva 50 000 franchi al giorno, tirando profitto non solo dalle ricchezze minerarie del suo paese ma anche dal furto (letteralmente) dei crediti internazionali concessi (facilmente?) al povero Stato africano. Così, nel 1978 il banchiere tedesco Erwin Blumenthal si reca nell’allora Zaire per fare un’inchiesta per conto della Banca Mondiale. Nel 1982, davanti al Tribunale dei popoli, viene pubblicato il Rapporto Blumenthal nel quale viene indicato come le ricchezze accumulate da Mobutu e dal suo clan sono frutto di un vero e proprio furto (per questo si parla di cleptocrazia) ai danni del loro paese. Inoltre, Blumenthal mette l’accento sull’implicazione delle banche e delle industrie straniere coinvolte col regime di Kinshasa.
Nessuna scusa quindi, dal 1982 si sa ufficialmente dell’origine illecita delle fortune di Mobutu. Il mondo finanziario svizzero é perfettamente a conoscenza che il denaro depositato nelle nostre banche é sporco, rosso come il sangue. Ecco quindi il paradosso del nostro caro segreto bancario. Immaginate: si presentano alla banca, distinti e discreti, dei signori congolesi, che vogliono aprire dei conti milionari. A questo punto ecco che entra in gioco il segreto bancario, magicamente capace di pulire le coscienze degli ignari (!!!) banchieri. Perché è proprio questo il bello: il segreto giustifica la mancanza di curiosità, il macabro desiderio di non volersi interessare sulle origini di questo denaro. Il farsi i fatti nostri e non quelli degli altri. Così, protetto e affascinato dalla segretezza delle nostre banche, Mobutu instaura delle relazioni amichevoli col nostro paese. Viene in visita ufficiale a più riprese, compra una villa a Savigny, nel canton Vaud, lo stesso comune dove abita l’allora consigliere federale Pierre Graber. Il presidente del governo di Basilea città li rimette addirittura, nell’ottobre del 1977, la medaglia d’oro onorifica della città, un riconoscimento raramente concesso. Tuttavia, dal 1982 nessuna scusa, si sapeva.

Solo alla morte del dittatore, nel 1997, comincia una trattativa giudiziaria e diplomatica per fare in modo che queste ricchezze ritornino al popolo congolese. Il nuovo Stato nato dalle ceneri dello Zaire, la Repubblica democratica del Congo, ha chiesto alla Confederazione di bloccare questi conti. In un interessante articolo di Daniele Piazza apparso sul settimanale Azione, viene citata una valutazione dell’”Azione piazza finanziaria svizzera”, una ONG che si occupa di monitorare il sistema finanziario svizzero. Quest’ultima afferma che potrebbero essere circa 250 i milioni di franchi appartenenti all’anziano dittatore congolese. Tuttavia questi soldi sarebbero stati sparpagliati qua e là dai suoi eredi, consapevoli delle possibili ripercussioni legali. Ufficialmente quindi, il denaro in questione ammonta a “solo” 7.7 milioni. A partire dal 1997, la Confederazione ha prolungato a più riprese il blocco di questi conti per permettere alle autorità congolesi di fornire le prove necessarie alla restituzione del denaro al governo e al popolo. Cosi, il denaro sottratto da Mobutu é stato fermo per 12 anni, fino a che, il 15 luglio scorso, il Tribunale penale federale di Bellinzona ha deciso che, per mancanza di prove, i circa 8 milioni di franchi depositati nelle nostre banche andranno restituiti… alla sua famiglia. Così, oltre al fatto che la fortuna bloccata dalle nostre autorità è una quantità irrisoria rispetto a quella realmente accumulata dal clan Mobutu, essa sarà generosamente restituita ai suoi eredi. Che beffa!
Da morto, ecco quindi arrivare l’ultima zampata del leopardo di Kinshasa. La vicenda sull’eredità di Mobutu si conclude pertanto nel peggiore dei modi. Uno splendido segnale da parte della Svizzera ai suoi detrattori, a chi l’accusa di essere un cinico paradiso fiscale: “Dittatori di tutto il mondo, leopardi o sciacalli,….nelle nostre banche ci sarà sempre posto per i vostri soldi”. In un periodo in cui la nostra piazza finanziaria à messa seriamente in discussione, ecco che la sentenza del caso Mobutu non porta certo acqua al mulino dei sostenitori del segreto bancario. Tuttavia, meglio questa decisione, per altro poco palpata dai nostri media, che aprire pagine del nostro passato istituzionale e economico che potrebbero essere scottanti. La vicenda degli averi ebraici insegna.

Ecco le ultime tappe giudiziarie della vicenda. A fine 2008 l’avvocato Enrico Manfrini é nominato dal DFAE per difendere gli interessi del Congo. Dopo aver raccolto prove sul regime criminale di Mobutu, accusandolo di aver depredato le risorse dello stato dello Zaire per la propria ricchezza personale e di aver mantenuto il suo clan al potere con la violenza, il 23 gennaio scorso Manfrini invia al Ministero Pubblico della Confederazione (MPC) una domanda di blocco dei fondi. L’avvocato domanda l’apertura di un’inchiesta sottolineando che la rete criminale che fa capo al leopardo di Kinshasa è ancora esistente. Ciò nonostante, il 21 aprile il MPC rifiuta l’entrata in materia e decide che nessuna inchiesta verrà aperta a riguardo e che i fatti sono caduti in prescrizione. Non sostenuto dal governo di Kinshasa (solo da Kinshasa?), l’avvocato Manfrini rinuncia al ricorso. La mancanza di sostegno da parte della RDC è facilmente spiegabile: il trentasettenne figlio di Mobutu, Nzanga è di nuovo nelle stanze del potere. In effetti, dopo essere restato in esilio qualche anno dopo il 1997, Nzanga ha fatto ritorno a Kinshasa, dove oggi occupa il ruolo di….vice primo ministro (qui potete trovare la sua magnifica pagina web: http://www.nzanga.com/index.htm). Ecco quindi spiegata la mancanza di collaborazione da parte congolese, sottolineata anche dall’ambasciatore svizzero a Kinshasa. Spiegato ciò, ci si può chiedere come mai la Svizzera si è piegata a questo conflitto di interesse? Come mai è dovuto intervenire un cittadino privato, il professore Mark Pieth, docente di diritto penale presso l'università di Basilea, a ricorrere in aprile ed a permettere di prolungare la vicenda ancora fino a luglio?

Questo episodio mostra in primo luogo la debolezza della legislazione svizzera che ha permesso, senza nessuna opposizione morale, agli ereditieri di uno dei più crudeli dittatori della storia d’Africa di usufruire, legalmente, della fortuna accumulata in maniera illegale. Siamo quindi di fronte ad una falla legislativa: lo scorso 5 dicembre il consiglio federale a ordinato al DFAE di stabilire un progetto di legge che permetta di confiscare e di restituire gli averi di origine illecita ai governi democratici. Questi lavori legislativi sono attualmente in corso. Perché allora non si è deciso di aspettare? I conti di Mobutu sono bloccati da 12 anni, perché non si è deciso prima di stabilire una legge di questo tipo? Perché non si è potuto attendere ancora?
Tuttavia, oltre a queste difficoltà legislative che potrebbero essere presto risolte, la vicenda Mobutu ci mostra chiaramente una mancanza di volontà da parte delle nostre autorità di riaprire scomode pagine del nostro recente passato. Se le prove dell’Avv. Manfrini fossero state accettate, non era forse come ammettere che le nostre autorità non solo sapevano, ma collaboravano col dispotico regime di Mobutu? Meglio quindi chiudere la faccenda, restituendo questa fortuna (e ripeto, solo una minima parte di essa) alla famiglia del dittatore, evitando così un imbarazzante mea culpa. Da un lato si ammette l’origine illecita della ricchezza di Mobutu (caduta però in prescrizione), dall’altro non si vuole analizzare le relazioni avute dalle istituzioni, dalle banche e dalle industrie svizzere col regime Mobutu. Per esempio, il rapporto Bluementhal cita il consigliere federale ticinese Nello Celio, il quale viene accusato di essersi occupato della gestione degli interessi di Mobutu, promovendone l’immagine nell’ambiente finanziario e bancario svizzero. Celio, all’epoca amministratore di Alusuisse, ditta che ha fatto grassi affari nella martoriata terra zairota, viene accusato da Blumenthal di essere l’uomo di Mobutu in Svizzera. Non era opportuno, da un punto di vista storico, fare un’inchiesta in questo senso? Inoltre, come detto, le relazione tra Mobutu e la Svizzera sono evidenti: oltre ai soldi, Mobutu ha una casa a Savigny ed é venuto spesso nel nostro paese a farsi curare. Molte imprese svizzere hanno investito e fatto affari in Zaire: la bilancia commerciale del 1986 diceva che il paese africano importava merci (soprattutto prodotti chimici e macchinari) per una valore di 40 milioni di franchi.
Se la fortuna di Mobutu fosse ritornata al popolo congolese, ciò avrebbe implicato l’ammissione dei legami amichevoli tra il leopardo e i nostri uomini di stato, le nostre banche e le nostre industrie. Data la natura illecita di queste fortune si sarebbe dovuto aprire un’inchiesta per capire:
- quali politici hanno collaborato, e se hanno ricevuto compensi illeciti
- quali banche hanno gestito le immense fortune, e se hanno ricevuto compensi illeciti
- quali imprese hanno fatto affari in Zaire, e se hanno ricevuto compensi illeciti

Ecco quindi che si è preferito chiudere così la vicenda, accusando il Congo di scarsa collaborazione (cosa sicuramente veritiera). Le pagine della storia a volte è meglio tenerle chiuse, aprirle potrebbe sempre essere imbarazzante. Non abbiamo visto, non abbiamo sentito…forse è meglio che non parliamo nemmeno.


Riferimenti bibliografici

Dungia E., Mobutu et l'argent du Zaïre, L’Harmattan

Pain Pour le Prochain ; Moubutisme, guerre froide, pillage et Cie : Les rélations Suisse-Zaïre de 1965 à 1997 ; http://www.ppp.ch/cms/IMG/Mobutisme_2-97.pdf

Piazza D., Caso Mobutu, la resa dei conti, Azione 03.08.09; http://epaper.azione.ch/ee/azion/_main_/2009/08/03/012/azion-_main_-2009-08-03-012.pdf

http://www.aktionfinanzplatz.ch/

http://www.eda.admin.ch/etc/medialib/downloads/edazen/home.Par.0014.File.tmp/090721_Chronologie_blocage_avoirs_Mobutu_it.pdf

http://archives.24heures.ch/VQ/LAUSANNE/-/article-1997-09-1903/le-seigneur-du-chaos-mobutu-sese-seko-figure-de-proue-de-l-afrique-postcoloniale-au-moment-de-son

http://www.nzanga.com/index.htm

1 commento:

  1. Io leggo quest'articolo 6 anni e dopo e piango ancora per l'estrema ignoranza di certe persone... tanto per ricordare in Svezia e in Francia hanno scoperto, in seguito al polverone sollevato da quel politico Italo-Americano che poi non fu mai più eletto, più conti e oro degli ebrei che in Svizzera ovviamente poi tutto fu insabbiato!!!

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