sabato 25 luglio 2009

Paranoie di crisi

Paranoie di crisi.

“Il capitalismo è sopravvissuto al comunismo. Bene, ora si divora da solo” , Charles Bukowski

Valla a capire tu la crisi, questa parola che ultimamente è presente in ogni dibattito che riguardi un qualsivoglia fenomeno. Ne accenna al supermercato la panettiera, il parrucchiere pure ne parla, ne discuto al bar con gli amici e ognuno ne da una libera e interessante interpretazione. Diventa quasi un comodo palliativo al vuoto delle discussioni come quando si parla di meteorologia – “Bello oggi? – “Hai sentito ? Arriva la crisi…”– Te la spalmano sul pane quotidiano tutti media, quelli che sono al potere e quelli che non lo sono, ognuno a tirare questa parola come acqua verso il proprio mulino d’idee. Ognuno più o meno abile a mischiarla e macinarla a proprio uso e consumo, pronta a vendertela come farina del proprio sacco, o appunto del proprio mulino. Uso e abuso di una parola, pretesto giustificativo per disoccupazione, inflazione, stagflazione, recessione, depressione e chi più ne ha più ne metta. Le colpe dei marasmi contemporanei sono date alla crisi e a nessuno viene in mente di pensare se è colpa dei marasmi contemporanei se c’è la crisi. E una questione di punti di vista, quasi d’analisi logica dove la differenza sta nel capire se la crisi é il soggetto o il complemento di causa: la crisi è la causa dei problemi o i problemi sono causa della crisi?
Il Fondo Monetario internazionale, lodevole istituzione internazionale che negli ultimi 50 anni ha portato benessere, stabilità e eguaglianza globale grazie a consigli illuminati e a soldi disinteressatamente prestati a chi ne era più bisognoso, ritiene che ”il sistema finanziario globale sia sull’orlo di un collasso sistemico” . Non poteva accorgersene prima? Con tutta l’intellighenzia, vera o presunta, con tutti i quaraquaqua d’esperti e contro esperti, possibile che nessuno abbia gettato un allarme cercando di far capire al mondo la banale legge fisica che a furia di gonfiare un palloncino prima o poi scoppia? E se qualcuno questo allarme l’avesse lanciato (ed è stato lanciato!) era da considerare così poco autorevole o tanto sovversivo da non essere ascoltato? Ma chi avrebbe dovuto ascoltarlo? E se poi non fosse tutto così semplice, non solo questione di palloni gonfiati e di bolle di sapone?
Dato per scontato che qualcosa è veramente in crisi, che c’è un domino di banche e gruppi finanziari che crolla, di bolle che esplodono e di aria fritta che brucia, mi domando se la crisi di cui tanto si parla non sia utilizzata per creare ad arte una crisi di panico per giustificare la sottomissione di tutti noi (e dei nostri stati) alla finanza. Una dimostrazione mediatica di come, pur essendone estranei o esclusi, la nostra quotidianità sia dipendente e succube dei capricci finanziari e dei rischi presi dai nuovi principi della filigrana virtuale. E allora eccoci tutti dei nuovi analisti di mercati finanziari, costretti nostro malgrado a interpretare questo collasso senza averne le necessarie competenze perché il gioco è diventato troppo complicato.
In effetti, non conosco nulla di meccanismi economici, di finanza, di quello che uno può fare o non fare con i propri soldi (- “Bravo pirla” - ), oltre a non averne tanti, non mi va di partecipare ad un gioco che considero sporco e pericoloso. Mi chiedo solo, ingenuamente, se certe cose sono normali e saranno aggiustate o se rimarrà tutto come prima e cioè un mondo diviso tra passivi e attivi, chi lo prende e chi lo da. Crisi o non crisi, la sostanza cambierà? Le cause del collasso saranno individuate e aggiustate, o, come diceva un vecchio gattopardo, si cambierà tutto per non cambiare niente?
Ecco allora qualche possibile causa del problema, non certo frutto della mia idea e di un mio studio, ma che, scovati qua e là, considero interessanti se vogliamo analizzare in profondità la malattia. C’è chi dice che il motoscafo della finanza ha perso di vista la zattera dell’economia reale. Ma a furia di scappare, questo motoscafo è finito in altomare, in una tempesta vorace, la peggior da 80 anni a questa parte, dicono. Mi chiedo se è normale causa di questa tempesta che il valore di un anno di commercio globale é inferiore alla somma di denaro che circola sui mercati valutari in soli 5 giorni . Forse è un dato insignificante, che ne so io. Forse è il commercio che non tira abbastanza. Non è abbastanza libero. Se la zattera è lenta non è colpa del veloce motoscafo, ma di chi la rema. O semmai del mare. Trovandosi alla deriva vi sono comunque delle isole strategiche dove poter attraccare e mettersi al riparo. In effetti, dopo che nel 1860 Baudelaire creò i paradisi artificiali alla fine del novecento altri paradisi vennero creati: i paradisi fiscali. Tralasciando la mia preferenza per i primi, anche qui mi chiedo se è tutto normale. In questi piccoli territori di terre emerse grandi più o meno come il mio letto che non dovrebbero valere niente, meno del 3% del PIL mondiale (un indice fantastico che mostra la felicità della gente del mondo e che anche se cresce ma cresce meno, è un brutto segno) transita il 50% del commercio globale , salvando cosi la baracca dalla tempesta. Logico. Per fortuna che ci sono queste ancore di salvezza. Per fortuna di chi pero? Che storie sono che mi tiro e anche questo, forse, poi non c’entra. E colpa mia che non capisco.
C’è chi dice che il problema sono i super bonus dei super manager delle super imprese. Sicuramente questo è un bersaglio verso il quale è facilissimo sparare. Certo che se nel 1970 i compensi medi annui per i 100 più grandi CEO erano circa 39 volte la paga di un lavoratore medio mentre alla fine degli anni `90 la media dei compensi dei 100 top manager è di 1000 volte il livello di un lavoratore medio qualcosa che non va ci deve pur essere. Oltre che rispetto ai lavoratori è pure a danno degli azionisti (che in teoria sono i proprietari) che queste remunerazioni esorbitanti si riflettono: sembrerebbe che le imprese non controllano nemmeno più loro stesse dato che si è perso il nesso tra chi comanda dirige, guadagna e chi possiede. Ma questo è un altro discorso.
Nella vita un individuo non si incazzerà mai se non si incazza quando una faccia viscida guadagna 20 milioni di CHF per aver fatto fare alla banca risultati trimestrali superlativi e dopo tre anni la stessa banca si becca 60 miliardi $ dallo Stato per non morire. A titolo di esempio 60 miliardi di $ sono più “than five times the amount that all Western European governments have committed, above and beyond development aid, in climate finance for developing countries” . Diciamo che la crisi climatica non é percepita nella stessa maniera che la crisi finanziaria. Però è forse troppo facile, anche se logico, prendersela adesso per il problema dei supersalari. Forse una questione etica bisognava già porsela qualche hanno fa, quando le cose andavano bene, ma non era giusto comunque. E che parlo a fare di questione etica, che c’entra? Chi fa dell’uguaglianza un proprio cavallo di battaglia politico non doveva indignarsi più forte prima che si indignassero tutti? Adesso c’è pure chi ne approfitta per vantarsi di filantropia restituendo milioni di qua e di là avendo il culo parato da milioni di qua e di là. Briciole.
Certo che una banca che inciucia nella maggioranza di scambi economici svizzeri non può essere lasciata naufragare. Salviamola (nell’isola salvataggio delle Cayman però, dove le acque sono calme, per ritornare ai paradisi fiscali!), ma ricerchiamone le cause non solo nei capitani che ubriachi di dollari la guidavano alla deriva.
Quello che non mi è chiaro (si fa per dire!) è l’apparizione improvvisa di denaro nelle casse di Stati a cui era stato imposta l’avarizia. E perché l’ago della bussola va sempre verso nord che i soldi vanno sempre a chi ce li ha o c’è un’altra spiegazione? E solo ora me ne accorgo? Ma poi che cosa centra? No perché, non eravamo in crisi e non c’erano soldi, ora che lo siamo pare ce ne siano da tappare tutti i buchi dei privilegi. Questione di priorità. Se per 20 anni mi hanno detto che non c’erano soldi per gli anziani, per i giovani, per gli invalidi, per le istituzioni sociali e per l’aiuto allo sviluppo ero semplicemente io (o noi) il coglione che ci credeva. La colpa è sempre mia? E ora se dico che si socializzano le perdite e si privatizzano i profitti, sono un qualunquista o è sì una frase banale, ma drammaticamente reale? Negli ultimi 15-20 anni vari paesi e regioni (Argentina, Sud-Est asiatico, Giappone, Russia, Brasile) hanno conosciuto crisi finanziare da cui nessuno ha tratto nessun insegnamento (almeno sembrerebbe). Allora come oggi per uscire da queste crisi lo Stato ci ha messo (o rimesso) del suo. A proposito di queste crisi, nel 2006 Andriani scriveva: “[…] mentre si diffondevano nel mondo dottrine e politiche volte a ridurre il ruolo dello stato, il salvataggio, ad opera dello stato, dei sistemi bancari con il denaro dei contribuenti ha raggiunto a livello mondiale dimensioni straordinarie” . Ma allora, dopo questo effervescente autunno, che dimensioni hanno preso questi aiuti? La crisi (o le crisi) possono quindi apparire, ai miei ingenui occhi, come il pretesto per andare al pronto soccorso. Ma dato che l’opinione pubblica è bombardata da notizie sulla crisi, tutto appare giustificato e necessario. Insomma, si guarisce la crisi con medicamenti potenti ma non si danno gli anticorpi necessari per non permettere il riaffiorarsi della malattia. E rieccoci di nuovo al punto di partenza, la crisi, le cause, i modi per risolverla. Noi che possiamo fare, se non subire quello che verrà deciso per mantenere tutto così com’è?
Parlarne è quasi inutile e deprimente, anche se sicuramente interessante. Capirne qualcosa veramente impossibile. Certamente è il raggiungimento dell’obiettivo del creare panico, insicurezza e confusione (una certa sintonia con il terrorismo, gli stranieri, la droga?). Quindi, e di conseguenza, a furia di parlarne e di leggerne, nella crisi mi ci hanno messo veramente: sono in crisi con me stesso, in crisi con la mia capacità di capire, in crisi sul mio modo di viver che fa il gioco della crisi pur non giocandolo. In crisi per un futuro incerto, anche se incerto lo era allo stesso. Paranoie di crisi. La crisi della crisi nella crisi. Vedremo. Tuttavia, non è certo perché la economia è in crisi che vibro e vivo, che piango o che rido, che sono nervoso e impulsivo. Se cade una lacrima non sarà certo la crisi la causa. Tolti i panni degli esperti di finanza, che un po’ goffamente portavamo per cercare di capire una crisi che non capivamo, continueremo ad amare e a odiare, a lavorare per bere, per andare allo stadio o per guardare l’isola dei famosi. Continueremo a morire in strada e sul lavoro, continueremo a spararci, a prostituirci, a tradirci e a masturbarci. Continueremo ad avere paura del diverso, del nuovo, della legge, del futuro e dell’inferno. Così, come è imposto. Se l’economia è in crisi, non sarà che la goccia in un vaso che sta gia trabordando. E tra le lacrime (di coccodrillo)…..non ci resta che ridere. E io rido.

FFF, 1.12.3008

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