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giovedì 7 gennaio 2010
La lista di Obama!
Nervi tesi a Washington. A seguito del mancato attentato di Natale, ancora scossi da quello che poteva rivelarsi come una tragica falla del proprio apparato di sicurezza, gli Stati Uniti hanno stabilito nuove norme preventive: bodyscanner, migliore sinergia nei controlli, misure top secret. Oltre a ciò vi è l’aggiornamento della lista di stati pericolosi, sostenitori del terrorismo. I cittadini di questi paesi diretti negli USA dovranno sottoporsi a delle misure supplementari di sicurezza.¨
Ecco la (solita) lista:
Yemen, Somalia, Siria, Sudan, Iran, Pakistan, Libia, ecc. Cuba. Cuba? E che c’entra col terrorismo islamico? Che ci fa l’isola cubana in una lista di 13 paesi islamici accusati - a torto o a ragione io non lo so - di sostenere il terrorismo internazionale? Centra come i cavoli a merenda ma ogni pretesto è buono per punzecchiare l’isola.
Due considerazioni. Primo: i terroristi islamici che sono a Cuba - se di terroristi si tratta - ce li hanno portati proprio loro, gli yenkies, e se ne stanno belli isolati a Guantanamo. Secondo: se dovessimo contare gli atti terroristici – nel senso concreto del termine – compiuti dagli Stati Uniti a Cuba, gli Stati Uniti stessi dovrebbero auto citarsi sulla lista di paesi a rischio. Dalla baia dei porci in poi l’elenco è lungo, non è vero Luis Posada Carriles?
Tutto cambia a Washington e dintorni ma la sinfonia cubana è sempre la medesima. Un son monotono e malinconico. Cuba, strangolata da un embargo illegale, condannato annualmente dall’assemblea delle Nazioni Unite, fa sempre paura al potente vicino. Assurdo. L’ennesima provocazione contro l’ormai cinquantenne Cuba rivoluzionaria (che se ha 50 anni ed è rivoluzionaria è un ossimoro) accusata di dare rifugio a terroristi baschi. Ma che c’entra vien da chiedersi. Baschi? Ma per favore…
Askatasuna!!
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martedì 10 novembre 2009
La non notizia di una notizia!
L’abitudine è avversa al veloce scorrere del fiume di informazione che ogni giorno ci inonda di paure, crudeltà novità, frivolezze e false verità. Immaginate un fatto che si ripete da 18 anni. Inesorabile. Fermo e puzzolente come acqua stagnante. Travolto dalla piena del fiume questo fatto finisce per essere trascinato a valle senza lasciare traccia. Quando poi questo fatto riguarda Cuba, e per una volta positivamente, ecco che esso evapora subito per proseguire il suo ciclo naturale. Pioverà di nuovo il prossimo anno. Puntuale e inutile ancora una volta.
Sono 18 anni che l’Assemblea delle Nazioni Unite vota contro l’embargo economico, commerciale e finanziario statunitense nei confronti di Cuba. Anche quest’anno la condanna da parte della comunità internazionale é avvenuta in modo massiccio. Puntuali, a difesa dell’embargo solo tre stati: gli USA con gli amici israeliani e le Isole Palau. Astenuti la Federazione di stati della Micronesia e le Isole Marschall.
Indipendentemente dalle ideologie, sempre presenti quando si parla di Cuba, l’abitudine di questa notizie potrebbe essere utilizzata per riflettere su altre questioni, che trascendono dalla notizia in sé. Una notizia abitudinaria, appunto perché consuetudine, andrebbe pescata dalla corrente informativa. Andrebbe filettata per comprendere proprio il perché di questa abitudine. Si potrebbe per esempio riflettere sull’effetto non vincolante di questa decisione e sul ruolo delle Nazioni Unite. In vigore dal 1962 l’embargo non molla, malgrado da 18 anni l’Assemblea voti contro. A che serve quindi votare su questa questione? Quale è il ruolo di un’Assemblea che non ha che dei poteri consultivi? Quale è il potere delle Nazioni Unite rispetto al potere di una superpotenza? Se proprio vogliamo, ci si potrebbe anche chiedere come mai le Isole Palau, 19000 anime nell’Oceano Pacifico, indipendenti dal 1994, votano sempre per mantenere il bloqueo. Potremmo riflettere sull’astensione della Micronesia. Perché no, potrebbe essere interessante? Domande che vanno oltre all’essere pro o contro Cuba, ma che ci obbligano a riflettere sull’abitudine. Sulla non notizia di una notizia
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